Al Rifredi di Firenze "Il principio di Archimede" di Josep Maria Mirò
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Al Rifredi di Firenze "Il principio di Archimede" di Josep Maria Mirò

Intervista a Giulio Corso, protagonista della drammaturgia premio Ubu 2019

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2 Aprile 2022 - 12.40


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di Alessia de Antoniis

Fino al 10 aprile il Teatro Rifredi di Firenze replica “Il principio di Archimede” di Josep Maria Miró, traduzione e regia di Angelo Savelli, con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi. Per questo spettacolo Angelo Savelli e il Teatro di Rifredi hanno vinto il Premio Ubu Speciale 2019 “Per l’intenso lavoro di traduzione, allestimento e promozione della nuova drammaturgia internazionale”.

Uno testo all’apparenza semplice, ambientato nello spogliatoio di una piscina, che nasce da un fatto qualunque: Jordi, istruttore di nuoto, dà un bacio a un bambino che si è messo a piangere spaventato dall’acqua. Ma l’autore è il catalano Josep Maria Miró e il suo teatro è tutto tranne quello che sembra.

Qui la sua maestria sta nel portare in scena tante piéce quanti sono i personaggi. Un montaggio cinematografico dove il racconto in presa diretta è inframmezzato da flashback. Una realtà caleidoscopica per un fatto che nessuno ha visto. Una drammaturgia che pone il pubblico davanti a una serie incalzante di domande e frasi interrotte. E nessuna risposta. Solo uno scontro tra verità soggettive: quelle di Jordy, Hector, Anna e David (Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi).

Un teatro destabilizzante per raccontare una società sempre più liquida, superficiale, influenzabile, manipolabile. Ne “Il principio di Archimede” educazione, pedofilia, omosessualità, pregiudizi, rapporti con i bambini, genitorialità, social, galleggiano sul mare delle paure, dei pregiudizi, dei preconcetti, delle certezze precostituite. Un teatro urgente in una società che non si fida più neanche di quello che vede, ma dove un “si dice” equivale a una condanna. Una drammaturgia dove la protagonista principale è la paura.

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La maestria di Mirò sta nel lasciare ai dubbi di chi legge, la possibilità di trovare le certezze che vuole. Ammesso che ne trovi.

“Si fa presto ad equivocare, a vedere cose che non ci sono”, dice Jordi, l’istruttore sospettato di pedofilia. Jordi è Giulio Maria Corso, attore poliedrico che passa con agilità dal cinema al teatro, dalla televisione al musical.

È lui uno dei quattro protagonisti che danno vita a un testo che sembra parlare di niente, accenna, allude, e scatena una tempesta.

Giulio, dove credi sia la potenza di questo spettacolo?

Un drammaturgo sapiente non suggerisce risposte, piuttosto pone interrogativi. Questo testo ci mette difronte ad un grande dilemma: in che mondo viviamo e in che mondo vorremmo vivere?

Quanto è urgente l’opera di Mirò in un mondo informato in tempo reale ma senza certezza dell’informazione, dove non ci fidiamo più neanche dei video, dove la macchina del fango può essere attivata da chiunque, anche senza prove?

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Riprendendo questo spettacolo dopo circa 3 anni di fermo, appena conclusa la prima sessione di lettura con i miei colleghi, la sensazione di tutti era che stessimo parlando di uno testo del futuro. C’è stato un tempo in cui la vita era più semplice, mi chiedo quale sforzo sia necessario per tornare indietro.

Ti fidi dell’informazione e della stampa?

Da anni non guardo più la tv: immagino sarebbe impressionante per me vedere cosa è diventato il dibattito pubblico sul piccolo schermo. Leggo qualche quotidiano, ascolto i discorsi dei capi di Stato e sono un appassionato di storia. Tuttavia, questo non fa di me un buon giudice della verità di ciò che ci circonda.

Il testo di Mirò accende un faro sull’uso pericoloso di Facebook e sulle fake news. Consideri i social uno strumento di partecipazione democratica alla vita sociale o un mezzo di strumentalizzazione?

I social media sono strumenti con grandi potenzialità, non credo costituiscano un reale pericolo per la democrazia, anche se mi pare evidente che la vita non può essere racchiusa in un “mi piace o non piace”. Non sostituiranno mai il potere del dialogo, dell’incontro, della reale interazione tra le persone.

Jordi è un istruttore sospettato di omosessualità e pedofilia. È di questi giorni la notizia che “gli insegnanti della Chiesa cattolica sono chiamati a “distinguersi per una retta dottrina e per probità di vita nella formazione delle giovani generazioni” (La Stampa, 29 marzo 2022). Il teatro può essere uno strumento di lotta contro un pensiero medievale mai sradicato?

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Ho frequentato le scuole superiori in un istituto salesiano. In quella scuola c’era un teatro. La differenza a questo mondo la fanno le persone, ci sono buoni esseri umani e cattivi esseri umani.

Nel 2015 sei stato premiato come miglior attore protagonista per “Rapunzel il musical”. Perché le produzioni italiane non hanno la stessa resa di quelle che vediamo a Broadway?

Perché l’industria è diversa. Avete mai mangiato un piatto di carbonara a Londra?

Sei stato un ballerino di Raffaella Carrà. Cosa ricordi di quell’esperienza? Quanto mancano i vecchi coreografi che hanno fatto grande la televisione italiana fino agli anni Ottanta, quando ogni balletto era uno spettacolo?

Spero che nessun ballerino si offenda leggendo questa risposta. Non sono degno rappresentante della categoria, sono stato però un giovane diciottenne palermitano, con tanti sogni e la Carrà, con “Carramba che fortuna”, è stato il mio battesimo al mondo dello spettacolo. Raffaella è una grande maestra, un’artista generosa, un grande essere umano.

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