Giancarlo Nicoletti rilegge la drammaturgia di Patroni Griffi in "Persone naturali e strafottenti"
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Giancarlo Nicoletti rilegge la drammaturgia di Patroni Griffi in "Persone naturali e strafottenti"

Il regista traduce senza tradire il grande Maestro. Storie diverse in un mondo diseguale dove ci sono “ladri e ladri, disgraziati e disgraziati, fame e fame, carcere e carcere, negri di pelle e negri di fetenzia”

Giancarlo Nicoletti rilegge la drammaturgia di Patroni Griffi in "Persone naturali e strafottenti"
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5 Febbraio 2022 - 19.21


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di Alessia de Antoniis
Con “Persone naturali e strafottenti” la grande drammaturgia napoletana ha riempito il teatro Tor Bella Monaca – Teatri in comune – di Roma. Nonostante Sanremo.

Naturale e strafottente è il testo di Patroni Griffi. Naturale e strafottente è la regia di Giancarlo Nicoletti. Naturale e strafottente è la drammaturgia, che oggi forse non avrebbe visto la luce oscurata dal falso perbenismo del politically correct.

Il fallimento teatrale di Giuseppe Patroni Griffi si mostra in tutta la sua potenza, forse troppa per il pubblico dei primi anni Settanta, più attuale oggi che nel 1973. Quel Patroni Griffi che sta a Napoli come Pasolini sta a Roma, accende una luce sulla Napoli dei “vasci” che diventa oggi metafora di una società intera. Una luce descritta nella parole di donna Violante nelle prime battute: “Che luce schifosa!”. Ma una luce è una luce e, per quanto fioca, illumina semplicemente quello che già c’è.

È la notte di Capodanno: un anno muore, uno ancora vuoto arriva.
Marisa Laurito da sola riempie la scena. È donna Violante, un donna indurita, disincantata, alla quale la vita ha negato tutto, ma alla quale Marisa Laurito non nega, a tratti, una delicatezza e una dolcezza di fondo, una sorta di speranza riassunta in quella mano aperta nella scena conclusiva, che resta lì, vuota, tesa, mentre una vita beffarda si prende per l’ennesima volta gioco di lei e della sua fiducia nell’essere umano.

Il primo atto è dominato dalla coppia Laurito – Nicoletti: una serva di bordello, che si ritrova ad affittare ad ore la sua unica stanza, e un travestito.
Lei, che è cresciuta con Eduardo, si ritrova nel teatro di Patroni Griffi.

Una bravissima Marisa Laurito (donna Violante) domina il palco con l’energia dei suoi settant’anni, scontrandosi con Nicoletti (unico in grado di bilanciarla) come fossero due generazioni a confronto, due modi di vedere la vita, due diverse tradizioni di due grandi drammaturghi napoletani. Lei che, con pudore, dice “Avevo sedici anni quando mi misero in mano il primo secchio di preservativi usati. Andai su e giù tutta la notte per tutti i corridoi del casino con quella secchiata di pesci marci”.

Lui, Mariacallàs, che non è più il femminiello di una volta, il portafortuna accolto nelle famiglie napoletane per aiutare le donne di casa nei lavori di fatica; è uno che nasconde, dietro a una maschera strafottente, il suo fallimento, la solitudine, il peso del pregiudizio e dello stereotipo. È un travestito, uno per cui “la prostituzione è una piaga necessaria”; è quella perversione che il teatro eduardiano avrebbe lasciato fuori alla porta e che con Patroni Griffi assurge a ruolo di protagonista.

La drammaturgia che prima ruotava attorno al pater familias, al maschio con i suoi valori patriarcali, moralisti e borghesi, in “Persone naturali e strafottenti” ruota attorno a una serva di bordello e a un travestito.

Nel secondo atto trovano il loro spazio anche le altre due figure: Byron (Livio Beshir) e Fred (Giovanni Anzaldo). Fred, un Giovanni Anzaldo che cresce nella seconda parte, è un ragazzo di buona famiglia che scende da Roma a Napoli per vivere, in maniera naturale e strafottente, la sua omosessualità. È quello che “Io sono felice perché non desidero niente…mi basta quello che racimolo dalla mia famiglia. I soldi non mi interessano”; che grida “Abbiamo un anno vergine davanti a noi, un anno tutto da stuprare”.

Fred è quello che non si traveste, ma si camuffa. È il ragazzo al quale Byron dice: “Come fai a non prendere atto che questo mondo indecente esiste”.

Byron (Livio Beshir), artista ribelle, figlio che non ha fatto pace col suo passato di sofferenza, è l’incontro occasionale di Fred. Byron è la cruda realtà che entra nella vita di Fred, l’incontro violento con la rabbia e la frustrazione del nero omosessuale. Perché per Byron “Non è più tempo di onorare i morti, ma di tornare a casa a uccidere i vivi”.

Naturale e strafottente è anche la scenografia. Nicoletti lascia che per tutto il primo atto campeggino in scena, appesi alla graticcia con semplici catenelle, un Cristo arreso e sconfitto e una Madonna arcigna, priva di umanità, che guarda disgustata i supplici a cui sembra voltare le spalle.

Naturale e strafottente è il linguaggio. Il dialetto napoletano che non è semplicemente quello popolare, ma quello di strada, ruvido all’orecchio come i suoni che escono dalla vecchia radio in scena che non si riesce a sintonizzare. Un linguaggio naturale, quotidiano, ma strafottente, che spazia dal turpiloquio al linguaggio borghese, mentre identifica le varie figure umane.

In scena quattro personaggi diversi con la stessa solitudine, lo stesso senso di straniamento, la stessa mancanza di identità. Storie diverse, facce di una stessa società, liquida, senza riferimenti, senza punti fermi, senza più ideali. Forse, senza più neanche valori.

Moralismo, emarginazione, pregiudizio, perbenismo, razzismo, scontro sociale e razziale, accettazione dell’omosessualità, diritti negati, guerra tra poveri, violenza sessuale. Questo portano in scena le persone naturali e strafottenti dirette da Nicoletti. Un mondo fatto da “Donne che si travestono da uomini per riuscire a farsi chiavare dagli uomini”. Un mondo disuguale anche nella tragedia, dove ci sono “ladri e ladri, disgraziati e disgraziati, fame e fame, carcere e carcere, negri di pelle e negri di fetenzia”. Un mondo dove “napoletani e negri siamo coetanei”.

Ma “questo mondo è stato fatto per viverci”.

Una pièce da vedere. Un grande Patroni Griffi che Giancarlo Nicoletti porta in scena tradotto ma non tradito.

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