Molière e L'Avaro: quattrocento anni di bellezza
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Molière e L'Avaro: quattrocento anni di bellezza

Il 13 gennaio scorso ha segnato il quattrocentesimo anniversario della nascita di Molière, al secolo Jean-Baptiste Poquelin uno dei più grandi commediografi della storia, e Feltrinelli lo ha celebrato ripubblicando L'avaro

Molière e L'Avaro: quattrocento anni di bellezza
Molière, al secolo Jean-Baptiste Poquelin
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22 Gennaio 2022 - 17.00


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di Rock Reynolds

Non mi capita praticamente mai di prendere in mano un’opera teatrale e di leggerla. Nelle rare occasioni cui l’ho fatto, mi è quasi sempre parso che la lettura fosse platealmente orba dello scopo per cui l’opera era stata composta: ovvero della sua interpretazione, di un palcoscenico calpestato da attori, di arredi scenici.

L’eccezione che conferma la regola, però, fortunatamente è spesso dietro l’angolo.

Il 13 gennaio scorso ha segnato il quattrocentesimo anniversario della nascita di Molière, al secolo Jean-Baptiste Poquelin (Parigi, 1622-1673), uno dei più grandi commediografi della storia, e Feltrinelli ha pensato di celebrare la ricorrenza ripubblicando la commedia L’avaro, con il testo originale a fronte, e rimettendo in circolazione pure Vita del signor Molière di Michael Bulgakov, in una versione italiana nuova.

La curiosità ha avuto la meglio sulla mia naturale ritrosia ad affrontare testi teatrali e meno male che così è stato perché L’avaro (Feltrinelli, traduzione di Donata Feroldi, pagg 240, euro 9) sta in piedi anche senza la sua naturale collocazione. E sta in piedi splendidamente.

Commedia degli equivoci che certamente risente dell’influenza del modello italiano caro a Molière, L’avaro non perde minimamente la capacità di far ridere e riflettere. Sembra che l’autore, inizialmente impegnato a mettere in scena tragedie, si sia per caso accorto che la farsa faceva per lui e, soprattutto, che il pubblico rispondeva in modo decisamente più entusiastico ai suoi toni più leggeri. Quei toni Molière li aveva appresi principalmente dalla commedia italiana, al tempo in gran voga. Pare che abbia conosciuto personalmente Tiberio Fiorilli, attore napoletano legato intimamente alla figura iconica della maschera Scaramuccia, militare spagnolo di stanza a Napoli, diventato ancor più celebre con il nome francese di Scaramouche, fanfarone dagli abiti neri e dall’atteggiamento tracotante. Nobili di casata più o meno altisonante mostrarono un interesse crescente per la compagnia teatrale di quell’uomo che con la tragedia non era riuscito a ottenere grandi consensi e che, invece, da quando in maniera quasi casuale aveva abbracciato la commedia, ne stava mietendo a ripetizione. E Molière non guardava tanto per il sottile: il successo alletta anche gli spiriti più liberi. Qualcuno, accostando Molière a Shakespeare – due giganti quanto mai dissimili – ha infatti sostenuto che il francese sia stato il commediografo di corte e che il sommo bardo inglese, invece, abbia scritto le sue opere in antitesi a qualsiasi potere costituito. Quale che sia la verità, è certo che il francese abbia goduto di fortissimi appoggi a corte, diventando un beniamino del potente Filippo, duca d’Orleans, fratello di re Luigi XIV. Insomma, difficile pensare che abbia fatto qualcosa in grado di mettere realmente in ridicolo il suo committente.

Scaramouche, però, non c’entra nulla con L’avaro, ma l’ispirazione italiana resta forte. La storia è nota:  Arpagone, vedovo vecchio e taccagno, si innamora di Marianna senza sapere che su di lei ha messo occhi più appropriati suo figlio Cleante. A complicare le cose, ci si mette pure sua figlia Elisa che, a sua volta, si innamora di Valerio, fratello di Marianna e maggiordomo della ricca famiglia. Il resto, naturalmente, lo scoprirete leggendo la divertentissima commedia oppure andando a teatro. Molti di voi l’avranno certamente già fatto.

È meno probabile che la biografia romanzata di Molière scritta da Bulgakov sia altrettanto familiare al pubblico, ma si tratta di una lettura a sua volta godibilissima, ricca di spunti storici e, presumibilmente, delle occasionali licenze poetiche che ogni romanziere si prende nella rappresentazione della realtà e del passato.

Vita del signor Molière (Feltrinelli, traduzione di Serena Prina, pagg 336, euro 12) Michael Bulgakov non ebbe occasione di vederla stampata. L’opera, completata tra il 1932 e il 1933 e pubblicata nel 1962, a oltre vent’anni dalla morte dello scrittore russo, si legge come una biografia, ma ha l’incedere avventuroso di un romanzo. D’accordo, la vita di Molière presenta indiscutibilmente molti degli elementi del racconto classico: avventura, arte, amore, le tre A della letteratura. Bulkagov sottolinea i natali del commediografo in una famiglia che si aspettava che il suo rampollo seguisse le rassicuranti orme del padre, tappezziere presso la corte reale francese. Molière, da buon guitto e da giovane artista quale era, non avrebbe potuto immaginare una vita più lontana di quella dalle sue aspirazioni. E non la fece, optando per un’esistenza sulla strada, insieme a quella che inizialmente sembrava tutto fuorché una compagnia teatrale seria e che, per diverso tempo, non ebbe particolare fortuna, al punto da convincerlo quasi a tornarsene a casa con le pive nel sacco. Quasi. Molière non lo fece mai, preferendo alla sicurezza della vita dell’artigiano di corte quella del commediante di strada. “Nei primissimi giorni del 1643… Jean-Baptiste si presentò al padre e gli annunciò che tutti i piani per affiliarlo alla corporazione degli avvocati erano una pura e semplice assurdità. Che non sarebbe andato da nessun notaio, che non aveva intenzione di diventare un dotto e che, soprattutto, non desiderava avere a che fare con la bottega di tappezziere. Sarebbe andato là dove fin dall’infanzia lo portava la sua vocazione, ovvero tra gli attori.”

Alla base di tutto c’era la folgorazione per il teatro che il nonno aveva contribuito a inculcare in lui, accompagnandolo segretamente dalle parti del Ponte Nuovo, a Parigi, dove “aveva luogo un’autentica Babilonia. Chiasso! Fracasso!”, come racconta Bulgakov.

Non tutto ciò che luccica è oro, si sa. “Dappertutto il clero accoglieva i comici con eguale ostilità. Allora occorreva ricorrere ad astuti sotterfugi, come per esempio devolvere il primo incasso a favore del monastero o dei bisognosi, in beneficienza.” Insomma, tutto il mondo è e pare che sia sempre stato paese. Anche perché inizialmente alla compagnia teatrale di Molière era stato affibbiato “il nome di ‘combriccola dei pezzenti’”. Ma ogni stella che si rispetti – e Molière avrebbe finito per diventare una sorta di rockstar ante litteram – vanta un percorso di vita accidentato. E, concedendosi amori e tradimenti, miserie e momenti più luminosi, Molière avrebbe toccato il cielo con un dito. “A volte…” scrive Bulgakov, “andavano a finire in ricche magioni e, se il nobile proprietario per noia manifestava il desiderio di dare un’occhiata ai commedianti, gli attori di Molière, sudici e avvolti dal fetore della strada, recitavano in grandi sale lussuose.”

Nella vita insolita dell’autore de L’avaro, troverete tanta storia e la presenza di personaggi celebri come Luigi XIII, Luigi XIV, il cardinale Richelieu e il suo successore, anima altrettanto grigia, l’astuto cardinale Mazzarino, le cui strade si intersecano tra loro e con la sua. E troverete pure leggiadria e passione nella prosa utilizzata da Bulgakov per raccontarla tanta bellezza. Forse leggere in contemporanea L’avaro e Vita del signor Molière è il modo migliore per accostarsi al grande autore francese.

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