Grazia Di Michele:"Non smetto mai di scrivere e cantare ciò che mi sta a cuore"
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Grazia Di Michele:"Non smetto mai di scrivere e cantare ciò che mi sta a cuore"

Un' intervista alla cantautrice che sta per far partire il progetto "Poesie di carta" nel quale si riscoprono gli inediti di Marisa Sannia

Grazia Di Michele:"Non smetto mai di scrivere e cantare ciò che mi sta a cuore"
In foto la cantautrice Grazia di Michele
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8 Gennaio 2022 - 10.00


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di Alessia de Antoniis


E’ appena uscito il suo ultimo singolo “Sotto un altro cielo”, insieme a Rossana Casale e Mariella Nava, il cui ricavato sostiene Emergency, e il 12 gennaio sarà al teatro Golden di Roma con Poesie di carta. È Grazia Di Michele, cantautrice impegnata e artista in prima linea per i diritti. Di tutti.

“Poesie di carta” è una sorta di eredità, un progetto incompiuto della cantautrice Marisa Sannia, che vivrà al teatro Golden grazie alla voce e alla chitarra di Grazia Di Michele, alle note di Marco Piras al pianoforte, di Fabiano Lelli alla chitarra, di Fabrizio Fabiano al violoncello e di Bruno Piccinnu alle percussioni.

“Il colpo di fulmine è arrivato ascoltando, per caso, Rosa de Papel. Mi sono così ritrovata a lavorare su questo progetto, dove Marisa aveva musicato alcune sue poesie”.

A raccontare come nasce “Poesie di carta” è la cantautrice Grazia Di Michele.

“Poche volte succede che io mi innamori così tanto di un lavoro. Sono rimasta folgorata dalla bellezza degli arrangiamenti e dal modo in cui erano state musicate le poesie di Garcia Lorca. Non è scontato mettere la musica ad una poesia e ottenere un prodotto che funzioni. Soprattutto quando si va a toccare certi mostri sacri.

È un lavoro composito che Marisa non aveva fatto in tempo a portare in tournée. Ho contattato i suoi musicisti, ho rintracciato il suo produttore Marco Piras. Ho recuperato i vocali di Marisa, ho ereditato il copione con le sue annotazioni. Al teatro Golden il 12 gennaio partirà la turnée dopo il debutto di quest’estate a San Teodoro, in Sardegna, terra natia di Marisa. Sperando che non ci chiudano, perché dietro questo concerto c’è un lavoro enorme”.

La tua voce ha sempre svolto il lavoro di attivista per i diritti civili, fin da Ragiona col cuore. Era il 1983 e cantavi un amore omosessuale.
Il primo disco fu Cliché. Parlava di aborto, di sessualità, del cliché maschile. Quando ho iniziato a scrivere canzoni con mia sorella, erano gli uomini a scrivere le canzoni per le donne e difficilmente avrebbero scritto testi che affrontassero tematiche di questo genere. Cantavamo tematiche femminili viste con gli occhi delle donne. Eravamo negli anni in cui c’era Mina, Mia Martini, cantanti coraggiose nelle scelte di vita, che però erano sempre sottomesse all’uomo. Al di là dell’amore non c’era vita, disposte ad accettare tutto da un uomo pur di averlo. Le canzoni ci restituivano sempre immagini di donne lamentose. In realtà avevamo tante altre cose da dire, altro che lamentose. Le mie canzoni non sono solo un’espressione artistica sentimentale, ma anche un mezzo per dire delle cose che ritengo importanti. Sono riuscita ad arrivare al festival di Sanremo insieme a Platinette portando un brano sull’identità di genere. Il testo di una canzone può essere un messaggio su cui ragionare.

Il 25 novembre hai cantato in Senato per la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ancora un altro 25 novembre. Ti sei mai chiesta dove ci siamo perse?
Sì, tante volte. Ho militato nel movimento femminista. Cliché era il frutto di battaglie che si combattevano. Quando io e mia sorella Anna abbiamo iniziato, non c’era l’aborto, lottavamo per il divorzio. Altro che la parità nel lavoro e le pari opportunità. Ma si lottava a muso duro e tante cose non si facevano passare. Credo che se oggi ci fosse il movimento che c’era negli anni Settanta, tante cose non accadrebbero. Quando ho fatto il mio ultimo disco, “Sante Bambole Puttane”, mi sono resa conto che trent’anni dopo ancora si parla delle proiezioni degli uomini sulle donne: che ancora oggi sono viste come bambole, come sante, come puttane. E la cosa più grave è quando c’è l’aderenza delle donne a questo modo di pensare. Ripeto sempre che pensavo di essere su un ponte che mi avrebbe portato dall’altra parte, non rendendomi conto che ero su una ruota. Per ogni femminicidio, ci sono tanti altri casi di cui non abbiamo notizie: quelli di violenza economica, psicologica, fisica all’interno delle mura domestiche. Perché non tutte le donne denunciano.

Quello che noi vediamo in televisione è la punta dell’iceberg. Sotto l’iceberg c’è un sommerso terribile dove ancora la cultura è dura a morire. Quello che è duro a morire è il pregiudizio. Abbiamo pregiudizi su tutto: sui napoletani, gli ebrei, le donne, i gay. Pregiudizi che impregnano il tessuto culturale. Nelle scuole elementari italiane è stato fatto un censimento dei libri utilizzati dai bambini. È diventato un libro che si chiama Il sessismo nella scuola italiana, che evidenzia come i bambini piccoli subiscano forti stereotipi di genere. Quando si parla dell’uomo, è potente, forte, coraggioso, ha soldi e potere. Fa il pilota, il medico, l’avvocato, il giudice, l’ingegnere. Quando si parla delle donne, sono dolci, buone, fanno le mamme, stanno a casa. Se lavorano, fanno l’infermiera o la maestra. Questi sono gli stereotipi che si insinuano nella testa dei bambini che saranno gli adulti di domani. E lo stereotipo è il padre del pregiudizio. Sono state fatte richieste per sostituire questi libri, ma non è successo niente.

Spesso faccio delle master class su come il sessismo si insinua nelle canzoni. Pensa a “perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone. Perché non porti pure me”. Ma perché questa non ha una vita sua? “Ma un giorno io ti seguirò”. Pure? “E se con un’altra ti scoprirò da mamma mia io tornerò”. Ma se vivi con un uomo, la domenica puoi anche uscire con un’amica, leggere un libro. Questi sono i successi che si sono insinuati nella nostra mente. Ma nessuno ci fa caso.

Molte canzoni di adesso sono anche peggio. Pensa a Sfera Ebbasta, ai testi terrificanti dei rapper. Testi violenti. Queste cose non sarebbero passate una volta.Una società che accetta questi linguaggi è perché li ha già nella sua cultura.
Sì, il 25 novembre mi hanno chiamato in Senato, ma vorrei non dover più andare a raccontare certe storie. Non ho visto un uomo manifestare, non ho visto un uomo dire: questa sfilata la facciamo noi al posto vostro perché ci vergogniamo. Viviamo in un’Italia dove la realizzazione della donna avviene ancora attraverso il matrimonio e i figli.

Con Miraggio, a due voci con il cantante tunisino Ziad Trabelsi, allarghi il tuo sguardo al mondo sulla riva opposta del Mediterraneo. E canti: se prego forte il nome del mio dio cresce la paura…
Non è solo un problema di femminismo, di visione della donna medievale, qui siamo ancora alle guerre di religione. Guardiamo cosa sta succedendo in Afghanistan con i talebani. Ancora oggi bisogna fare attenzione a qual è il tuo Dio e a quale Dio preghi. Miraggio è quello di una terra o un momento storico dove tutto questo non esiste più. E per il momento, con tutti i respingimenti in atto per terra o in mare, sembra ancora lontano a venire. Il momento dell’apertura e dell’accoglienza è ancora un miraggio.

Perché anni fa hai accettato di partecipare ad Amici?
Quando andai ad Amici, era un programma che non conoscevo. Avevo capito che era un’accademia dove dovevo insegnare canto. Il progetto mi incuriosì. Erano i primi anni e Amici era una trasmissione completamente diversa da quella che poi è diventata.

In quel momento in Italia non c’era un programma musicale per i ragazzi. Non c’era nulla. Se un ragazzo si voleva far conoscere, doveva bussare alle case discografiche. Non era semplice. Maria aveva acquistato un format che si chiamava Saranno famosi con l’obiettivo di far conoscere questi ragazzi affinché entrassero nelle compagnie. Moltissimi ragazzi usciti da Amici sono andati a lavorare in compagnie, musical, sale di doppiaggio. Ragazzi che forse, senza Amici, non ce l’avrebbero fatta. Era un’accademia dove i ragazzi studiavano dalla mattina alla sera con insegnanti di calibro: Patrick Rossi Castaldi per la recitazione, Fioretta Mari per la dizione, Steve Lachance per il ballo. Studiavano e lavoravano contemporaneamente tutti i giorni, per nove mesi, gratis. Anzi pagati. Era un’opportunità unica. In quest’ottica, io salvo Amici. Oggi il programma è cambiato, ma non per questo non bisogna riconoscere i meriti che avuto.

Ancora tanti progetti e voglia di continuare. Il segreto?
Non smetto mai di scrivere e cantare di cose che mi stanno a cuore. Continuare ad amare la vita, le donne, la libertà di pensiero, la terra, gli animali. Credo che questa sia la chiave per continuare.

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