Oggi si dà del Maestro a tutti. Basta aver superato i 60 anni e aver fatto qualcosa di buono nella propria professione per ricevere questo appellativo. Tanto che oramai abbiamo l’inflazione di Maestri. Ma io questo titolo lo voglio riesumare per Umberto Eco che fu Maestro di intere generazioni fin da giovane, quando ancora non sedeva in nessuna cattedra.
Lo incontrai la prima volta a Perugia a un convegno di una associazione che voleva rappresentare i telespettatori e che aveva come presidente addirittura Ferruccio Parri. Avevo incominciato a fare il vice della critica televisiva. Avrei preferito la critica cinematografica o quella teatrale e occuparmi di quello che consideravo un genere minore che a me sembrava essere né carne né pesce, mi faceva sentire sminuito ma era un modo per entrare nel mondo del giornalismo. A Perugia venne un giovane professore il quale ci insegnò a “leggere” la televisione attraverso i segni che spesso erano più significativi dei contenuti stessi. Ricordo l’analisi semiologica di un servizio di Tv7 sulla mafia in cui il commento musicale sulle immagini di un assolato e spoglio paese siciliano suggeriva una atmosfera western. Quel giorno, grazie a Umberto Eco, capii che la televisione era una cosa diversa dal cinema e dal teatro e soprattutto era lo strumento principe della formazione della cultura di massa e dell’informazione che avrebbe cambiato il mondo. E fui più contento del mio primo lavoro di critico televisivo, ancora vice.
E poi ci fu il “Diario minimo” con il celeberrimo saggio su Mike Bongiorno che dai più fu letto come un marchio che relegava il personaggio-chiave del lancio della televisione italiana, quasi a un ruolo di macchietta. Invece era un atto di attenzione proprio al fenomeno televisivo da parte di un intellettuale moderno che si era formato sui classici della storia e del pensiero e che ci aiutava a capire le trasformazioni che stavamo vivendo e che avrebbero stravolto la nostra visione del mondo.
E i fumetti? Quante volte ci eravamo sentiti dire che erano pseudo letteratura che distraeva e talvolta corrompeva i giovani? Ebbene Umberto Eco fu tra i fondatori di Linus la rivista che sdoganò i fumetti, i comics come li chiamavano gli americani, i quali entrarono a buon diritto nella cultura.
Niente male per uno che aveva concluso la sua vita di studente con una tesi su l’estetica in Tommaso D’Aquino! Ma il lavoro che ha fatto in tutta la sua vita Umberto Eco era volto a svecchiare la cultura contemporanea e ad adeguarla alla comprensione dei tempi nuovi.
Ma la sorpresa più grande Eco ce la riservò con la pubblicazione de “Il nome della rosa” in cui profuse la sua enorme cultura di storico medievista in un grande romanzo filosofico con uno sfondo giallo, suggerito anche dal nome del protagonista che si chiama Guglielmo da Baskerville, allusione a “Il mastino di Baskerville”, celebre romanzo del maestro del giallo Conan Doyle creatore di Sherlock Holmes.
Sono passati due anni, ma con la morte di Umberto Eco ci è venuto a mancare un punto di riferimento molto importante, ma ci rimane la sua sterminata opera a farci da guida.