Il grande jazzista Paolo Fresu ha ricordato l’amico e collega musicista Ezio Bosso, scomparso oggi all’età di 48 anni per una grave malati neurodegenerativa.
Ci conoscevamo da vent’anni.
Da quando ci trovammo, assieme ad altri compositori di musiche da film, a suonare assieme a Bologna nel Festival del Cinema Ritrovato.
Ezio suonava il contrabbasso come nessun altro.
Un virtuoso con una musicalità straordinaria che diventava un tutt’uno con lo strumento.
Il suo archetto era una lancia poetica e la sua musica per archi, in particolare quella composta per la colonna sonora di “Io non ho paura”, è stata la porta per entrare nel suo mondo.
Ogni tanto veniva a sentire i miei concerti nelle Langhe e lì parlavamo di musica e di quartetti d’archi oltre che del fatto che potesse scrivere per il gruppo di mia moglie.
Lo incontrai a Londra dopo qualche anno con Ludovico Einaudi ed Ezio era un altro uomo.
Fisicamente intendo.
Un uomo che parlava lento ma con la stessa profondità di sempre.
Ci raccontò della sua malattia che ancora non era in stato avanzato ma della quale aveva compreso il percorso e la gravità.
Per questo aveva già abbandonato il contrabbasso per suonare il pianoforte e dirigere.
Ed Ezio era felice, con la sua forza straordinaria.
Una mattina mi chiamò al telefono per comunicarmi di essere stato invitato al Festival di Sanremo.
Gli dissi che mi sembrava un’idea malsana ma la sera che lo vidi in tv piansi sulla tovaglia a quadretti di una pizzeria.
Un pianto sereno per un amico che, attraverso la popolarità dello schermo, condivideva finalmente la sua poesia luminosa e trasparente con tutti.
Una poesia che ha fatto bene al mondo.
E poi le cattiverie dei musicisti e dei tanti: Bosso che suona il piano come un bambino o Bosso di cui si parla solo perché ha la SLA senza che nessuno si sia posto il problema di conoscere la sua vita.
Senza sapere che una nota del suo piano valeva più di mille altre e che in quella nota c’era un vissuto mangiato in pochi anni di vita e di sogni.
Mi piace ricordare Ezio con due immagini.
Un pranzo nella nostra casa in una tiepida giornata di maggio in cui si parlava di musica contemporanea e di vita da vivere e i due bellissimi concerti a Time in Jazz.
Il primo assieme al sottoscritto e a Erri De Luca sul tema dei “Piedi” davanti alla piccola chiesetta di Mores sotto un sole intenso e un silenzio surreale tagliato dal frinire delle cicale e quello con il suo gruppo di archi dentro il vulcano spento di Ittireddu.
E poi un surreale concerto notturno con il pubblico seduto per terra e con un Ezio raggiante che illuminava la notte.
Queste sono le immagini che ho negli occhi e queste rimarranno con me per sempre.
Rimarrà il suo sorriso intenso.
Sorriso da ragionare con lentezza e che Ezio comandava con i muscoli di un cuore che era più grande di noi.
Rimarranno le sue parole oltre agli occhi umidi dei tanti che accorrevano ai suoi concerti.
Sono fortunato ad averti conosciuto.
Fortunato ad averti conosciuto sempre uguale e sempre diverso.