In questo strano Paese, falsi miti, bufale e fesserie sul fascismo circolano da sempre. Ne siamo assillati sin dai tempi della culla, e immagino che almeno una volta sia capitato a tutti di sentire la fatidica frase: “Eh, ma quando c’era lui…”, intendendo l’interlocutore con quell’ammiccare che ai tempi del Duce certe cose non accadevano, perché allora si viveva in un Paese modello dove tutto funzionava.
Reagire seraficamente con la forza della ragione a tali idiozie, impegolarsi in una discussione con l’imbecille di turno, è faticoso e probabilmente inutile. Ma in aiuto di chi volesse imbarcarsi in quest’impresa è finalmente arrivato uno studio opera di un giovane storico, Francesco Filippi, il quale, evidentemente stanco anch’egli dello stupidario circolante su quel nefando periodo della nostra storia, si è preso la briga di smontare una ad una le bubbole che si vanno ripetendo sul Duce e sul fascismo.
Si tratta di un volumetto tanto agile quanto denso, pubblicato da Bollati Boringhieri, dal titolo icastico: Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, dal quale apprendiamo che molte di quelle che l’autore non esita a definire “bufale” sul fascismo e sul suo fondatore nacquero dal fascismo stesso, mentre altre si sono imposte nei momenti in cui a un presente negativo si è voluto contrapporre un passato mitizzato, dove il fascismo più che di un’ideologia assume i connotati di una narrativa pubblica: “non una successione di idee, ma un racconto mitico di felicità perduta”. Appunto.
Mediante puntuali ricostruzioni storiche, confrontando l’era fascista con la liberale che la precedette e la repubblicana che la seguì, citando leggi e indirizzi normativi, snocciolando statistiche, Filippi smonta uno ad uno i cavalli di battaglia dei nostalgici delle camicie nere. Ce n’è per tutti i gusti, ne citeremo solo alcuni tra i tanti: Mussolini fautore del sistema previdenziale italiano, di forme di tutela sociale e della regolamentazione delle condizioni di lavoro? Balle. In realtà, vi fu una progressiva appropriazione da parte del partito fascista delle strutture previdenziali messe a punto dai governi liberali, che ne prosciugò sempre più le finanze, sino al collasso delle casse negli anni del conflitto mondiale. In pratica, quello fascista fu “un ente costruttore di consenso più che di benessere e sicurezza per gli italiani”. Senza considerare, poi, che una tale fandonia non regge neanche davanti al buon senso: riguardo ai diritti dei lavoratori, basterebbe ricordare una delle cosiddette “leggi fascistissime” del 1926, che dichiarò fuorilegge le associazioni sindacali non irreggimentate, vietò il diritto di sciopero e la serrata, riducendoli drasticamente.
Andiamo avanti: il duce bonificatore? “La quantità di terre strappate all’acqua rimase marginale rispetto all’enormità della sfida raccolta dal regime”, che pianificò un sistema di bonifica “né economicamente né socialmente sostenibile”, e per di più incompiuto.
Il duce costruttore che ha dato casa agli italiani? Come in tutti i campi della cosa pubblica, “il fascismo si limitò a porre sotto il proprio controllo e ribattezzare strutture amministrative nate nell’Italia liberale”, concentrandosi su edifici simbolici e cerimoniali, “che si preoccupavano più degli aspetti di visibilità del regime che dei bisogni della popolazione” (emblematico lo sventramento del quartiere di Borgo, a Roma), e che lasciarono emergenziale il problema casa.
Mussolini integerrimo difensore della giustizia? Altra affermazione assurda, visto che si riferisce al dittatore di un regime totalitario che aveva eretto la violenza a sistema, e che “produsse la più grande contrazione dei diritti civili degli italiani da quando esiste il concetto di diritto civile”. D’altronde, sono schiaccianti le prove di una vasta e pervasiva struttura di corruttele, ruberie e malversazioni dell’impunita gerarchia fascista. Filippi non usa mezzi termini: il fascismo fu “un sistema di appropriazione di ricchezza a fini personali”.
Mussolini asceta, allergico ai lussi e quasi povero? Un’immagine costruita ad arte dalla propaganda di regime, volta a creare la figura di un dittatore disinteressato e dedito solo ai suoi sudditi, smentita da una lunga serie di atti che costellarono la vita del duce, ultimo dei quali la fuga nell’aprile del 1945, quando egli non esitò a svuotare i forzieri della Banca d’Italia per assicurarsi la salvezza.
La guerra vinta contro la mafia? Altro esempio di contro-narrativa, di particolare effetto. In realtà, il primo intervento del fascismo, nel 1923, fu la revoca della concessione dei latifondi alle cooperative contadine, dovuta al governo Bonomi nel 1921, e i fascisti siciliani, divenuti il braccio armato dei latifondisti, si scagliarono contro i lavoratori agricoli uniti in sindacati e cooperative, che, con le loro richieste di terra e riforme, erano gli unici veri oppositori del sistema di potere mafioso. Quanto al prefetto Mori, sulla cui opera si poggiava la tanto sbandierata lotta alla mafia, fu messo in pensione a 57 anni contro la sua volontà, nel 1929, dopo soli quattro di attività in Sicilia.
Il duce economista? Anche qui Filippi capovolge i luoghi comuni circolanti sul fascismo: il primo intervento fascista in economia, la rivalutazione monetaria, rese gli italiani più poveri: un taglio “che colpì in particolar modo le classi lavoratrici e in genere i salariati, vale a dire i ceti più deboli del paese”, tra l’altro già privati del diritto di sciopero. In realtà, “sotto il fascismo aumentò la disuguaglianza sociale: la forbice tra la fetta più ricca della società e quella più povera si divaricò”.
Il fascismo rispettoso dei diritti delle donne? Ennesima bufala! Seguendo una linea di paternalismo e di maschilismo radicata nella società, il fascismo “circoscrisse e limitò sistematicamente lo spazio pubblico delle donne e la loro autonomia”, relegandole al ruolo subalterno di “gestanti” e “madri”, facendole oggetto di una legislazione discriminatoria che le espulse progressivamente dal mondo del lavoro e dal sistema dell’istruzione. Come poi non ricordare l’introduzione nel Codice Penale delle attenuanti per il cosiddetto delitto d’onore, “un avallo implicito al femminicidio”?
E ancora, il mito del duce condottiero e statista, costruito su parate scenografiche e feticismo di divise, davvero risibile visto che “il militarismo fascista ha dato ampie prove della sua inconsistenza praticamente su tutti i teatri di guerra”, macchiandosi peraltro di tentativi di genocidi, fino allo sfacelo del 1943.
Mussolini dittatore “buono”, il politico che amò di più gli italiani? Questa del totalitarismo dal volto umano è una delle principali e più perniciose storture nella percezione del regime fascista e dell’immagine del suo capo. Analizzando il razzismo insito nelle politiche coloniali fasciste, la costruzione del mito della razza italiana e i suoi risvolti normativi, l’odio e la totale intolleranza verso l’altro, il diverso, Filippi conclude che “ben prima del 1938, le leggi del fascismo furono razziste”, e riflettendo sull’istituzionalizzazione del dominio razzista nelle colonie, chiosa drammaticamente: “a rileggere oggi queste disposizioni sorge il dubbio su chi, tra fascisti e nazisti, abbia copiato l’altro sull’argomento”. Per concludere, le brute cifre, condite da drammatica ironia: “Se amare gli italiani significava proteggerli, il fascismo coinvolse il paese in una guerra che fece 472.000 morti italiani, di cui un terzo civili. A queste andrebbero sommate anche le vittime italiane della violenza squadrista, i morti in carcere e al confino, i soldati uccisi nelle guerre di aggressione in Etiopia e di dominio in Libia, ma anche a causa delle precarie condizioni sanitarie del paese durante il regime. Un numero che sorpassa le cifre delle morti italiane in qualsiasi altro evento storico e che fanno del fascismo l’avvenimento più mortifero della storia di questo paese”.
Può bastare così. Vale però la pena sottolineare che in un’epoca in cui il dibattito pubblico sulla storia e sulla politica è avvelenato dal proliferare di “fake news”, da mistificazioni di ogni tipo propalate ad arte o diffuse per pura ignoranza, libri come questi risultano quanto mai preziosi. Non solo rappresentano, come nota lo storico Carlo Greppi nell’introduzione, “una rara capacità di fare cultura ‘alta’ a partire dalla concretezza dell’esperienza”, ma indicano la matrice educativa che dovrebbe caratterizzare la formazione di ogni studente, ogni elettore, ogni cittadino consapevole del proprio ruolo civico, per evitare di ripetere i tragici errori del passato.