Pasolini 43 anni dopo, 43 anni di menzogne

Il prossimo 2 novembre saranno 43 anni che è morto Pier Paolo Pasolini: David Grieco riprende le menzogne raccontate sull'intellettuale in questi anni, compresa quella sulla sua morte

Il giornale che annuncia la morte di Pasolini
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David Grieco Modifica articolo

28 Ottobre 2018 - 16.32


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Il prossimo 2 novembre, tutti i giornali celebreranno ancora una volta, dopo 43 anni, la morte di Pier Paolo Pasolini.
In realtà, assisteremo ancora una volta alla penosa scalata di una montagna di menzogne che purtroppo la dice lunga sulla natura profonda del nostro paese, che Pasolini stesso definiva un paese inguaribilmente clerico-fascista.
Il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini venne torturato e ammazzato all’Idroscalo di Ostia da un manipolo di delinquenti comuni e fascisti davanti a tanti testimoni che abitavano nelle baracche circostanti.
Un delitto di cui oggi, grazie alle nuove tecnologie, potremmo conoscere, nel giro di un paio d’ore, ogni più infimo dettaglio.
Ma la cattiva coscienza è più forte di qualunque tecnologia. Guardate il Caso Cucchi. Se un carabiniere non fosse crollato sotto il peso dei rimorsi, l’immagine del volto spaventosamente tumefatto di Stefano Cucchi, così somigliante a quello altrettanto spaventoso di Pasolini, anch’esso deformato da centinaia di colpi, non sarebbe servito a niente. E solo ora che il carabiniere ha confessato, ecco che viene fuori l’audio in cui si parla del trattamento riservato a Stefano Cucchi prima della morte: “Magari morisse, mortacci sua…”
Dopo tanti anni, grazie alla riapertura delle indagini e agli esami dei DNA richiesti e ottenuti molto faticosamente dall’avvocato Stefano Maccioni, i dettagli del Delitto Pasolini li conosciamo a menadito e li abbiamo raccontati su Globalist in dozzine di articoli.
Ma nessun magistrato, nessun tribunale, e neppure il Parlamento italiano ha voluto prenderli in considerazione.
Non vogliamo più raccontare e raccontare ancora cosa è accaduto quel giorno e il giorno seguente, e ciò che accadde nei giorni precedenti. Tutti gli articoli che abbiamo scritto li troverete su questo giornale e potrete consultarli quando vorrete.
Quest’anno vogliamo ricordare Pier Paolo Pasolini chiedendovi semplicemente di guardare l’Italia di oggi, uguale a quella di allora se non decisamente peggiore.
Un’Italia omofoba, razzista, gretta, egoista. Un’Italia dove la politica è giunta al punto più basso è la criminalità organizzata al punto più alto. Un’Italia dove oggi si ammazzano anche e soprattutto le donne che non si sottomettono a un potere maschile di stampo medievale.
Anche questo, Pasolini lo aveva predetto poco prima di morire. Solo lui aveva capito che il Delitto del Circeo era l’inizio di nuove atrocità che non appartenevano più alla sola borghesia depravata del Caso Montesi di vent’anni prima. Per questo motivo, Pasolini aveva polemizzato con il suo amico Italo Calvino che descriveva in modo facile e pigro quel fattaccio del Circeo. Ma Pasolini lo metteva in guardia dalle facili banalità raccontandogli il degrado del sottoproletariato che aveva tanto amato, e in quella spiegazione c’era già la predizione di Mafia Capitale.
Italo Calvino nemmeno gli rispose. Quando pochi giorni dopo Pasolini venne ammazzato, Calvino confessò candidamente che si era ripromesso di rispondere a Pasolini dopo “il prossimo delitto”.
Ma la vittima del “prossimo delitto” fu proprio Pier Paolo Pasolini.
Forse proprio in quei giorni nacque la brutta, bruttissima definizione di “radical chic” affibbiata agli intellettuali di sinistra. Anche questa, a pensarci bene, è una definizione pasoliniana apocrifa e postuma. Perché Pier Paolo Pasolini non risparmiò mai critiche e accuse agli altri intellettuali come lui che, a differenza di lui, si rinchiudevano nei loro comodi salotti anziché cercare di capire in quali condizioni vive la gente comune e cosa gli passa per la testa.
Non molto tempo dopo, cominciò il declino di una sinistra soddisfatta e satolla incapace di lottare per i suoi stessi ideali.
Enrico Berlinguer fu il primo a chiedere una commissione parlamentare per indagare sul Delitto Pasolini. Non riuscì ad ottenerla, pur avendo alle sue spalle il Pci più forte di sempre. E chissà che Berlinguer non riuscì a intuire allora che il suo esperimento politico calunniato fin dalla nascita come “compromesso storico” era destinato a fallire, che lui stesso sarebbe stato oggetto di un attentato, e che Aldo Moro avrebbe fatto la fine che ha fatto.
Siamo sempre lì, oggi più che mai.
Ma oggi, dopo 43 anni, l’Italia non può ancora andare avanti così. Siamo oggettivamente indietro, troppo indietro, rispetto agli altri paesi europei. A questo punto, il nostro paese muore o rinasce. Non c’è più via di mezzo. Non c’è più spazio per il nostro atavico menefreghismo, per il nostro proverbiale “cambiare tutto affinché nulla cambi”.
Molti mi chiedono spesso cosa direbbe Pier Paolo Pasolini di ciò che sta succedendo oggi in Italia. Per come l’ho conosciuto, so che Pasolini oggi sarebbe un convinto europeista e un ancor più convinto ambientalista.
Amava la Francia, un paese che venera la cultura e aborre la censura. Quando rilasciava un’intervista in francese mi chiamava per fargli da interprete ma poi mi chiedeva sempre di lasciarlo rispondere nel suo francese stentato e domandava all’intervistatore stesso, in diretta, di correggerlo quando sbagliava.
Quanto al Pasolini ambientalista, mi basta citare il “discorso delle lucciole” pronunciato contro la Montedison di Cefis. E se non bastasse, c’è il suo ultimo libro, “Petrolio”, che non finiremo mai di rileggere.
Comunque, per la Giustizia Italiana, Pier Paolo Pasolini è ancora stato ammazzato da un giovane marchettaro, Pino Pelosi, incontrato per caso quella sera.
Ma se questa è purtroppo la versione ufficiale dei fatti di cui dovremo vergognarci per sempre, a questa versione ormai nessuno ci crede più, e non si sente più pronunciare da nessuno una simile bestialità. È già qualcosa.
Delle tante iniziative che sono state preparate per ricordare in questi giorni Pasolini, ne segnalo una che considero speciale, dell’Associazione Berlinguer del Quadraro.
Si tratta di un convegno internazionale, che si terrà in Via Opita Oppio, al Quadraro, lunedì, martedì e mercoledì. Vi partecipano persone che è un privilegio incontrare, come il docente spagnolo Ramon Reyes, presidente di EMUI (non è il nuovo smartphone della Huawei, cribbio!), università Euro Mediterranea, Roberto Chiesi della Cineteca di Bologna e lo stilista Roberto Capucci, lo “sculture della moda” tanto celebre quanto schivo che vestì Silvana Mangano nel film “Teorema”.
All’Associazione Berlinguer si parlerà di Pasolini vivo, e non di Pasolini morto, e il mercoledì si andrà a passeggio nei luoghi del Quadraro che lui seppe far conoscere in tutto il mondo grazie ai suoi film.
E infine, nei locali dell’Associazione Berlinguer è stata anche allestita una mostra delle straordinarie foto che Domenico Notarangelo scattò sul set del “Vangelo secondo Matteo” a Matera.
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