“C’era un ragazzo che come me…” un’emozione lunga 50 anni
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“C’era un ragazzo che come me…” un’emozione lunga 50 anni

La censura in Rai e il successo internazionale. La canzone lanciata da Morandi nel '66 è diventata un brano intramontabile e sempre attuale.

Gianni Morandi
Gianni Morandi
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Francesco Troncarelli Modifica articolo

12 Ottobre 2016 - 09.05


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di Francesco Troncarelli

“Stop coi Rolling Stones, stop coi Beatles stop…”

Ci sono brani che superano la stagione di riferimento per entrare nella memoria collettiva. Ci sono canzoni che meglio di un libro di storia raccontano passioni, amori e sogni di una generazione. Ci sono pezzi che non sono “solo canzonette”, ma molto, molto di più. “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” è uno di questi. Intramontabile, senza tempo, coinvolgente. Emozionante ancora oggi, a 50 anni esatti dalla sua uscita.

Fu lanciato infatti da Gianni Morandi il 12 ottobre del 66 al “Festival delle Rose”, una manifestazione canora a quei tempi molto in voga organizzata dalla Rca, che si svolgeva al Cavalieri Hilton di Roma e da allora oltre a essere uno dei cavalli di battaglia del cantante è diventato un vero e proprio classico della nostra musica. Che tutti conoscono, ricordano e amano.

Gli autori

Lo aveva scritto Mauro Lusini, giovane cantante ed ottimo chitarrista sbarcato a Roma da Siena in cerca di gloria per sé e per quella canzone. L’incontro in un ristorante con Franco Migliacci, paroliere di successo ( “Volare”, “In ginocchio da te”, “Non son degno di te”, “Se non avessi più te”) fu decisivo per la svolta della sua carriera. Il produttore discografico noto per il fiuto eccezionale, s’innamora di quel motivo e ne intuisce subito le potenzialità. Lo fa suo trasformando il testo che aveva un inglese maccheronico e in dieci minuti butta giù il brano nella versione conosciuta da sempre.

Morandi

A quel punto entra in scena Morandi. In pochi anni il figlio del ciabattino di Monghidoro è diventato il golden boy della canzone italiana, l’idolo dei teen agers. Ha collezionato una serie di risultati incredibili che lo hanno reso popolarissimo, ha vinto infatti il Cantagiro del 64 e del 65 e sempre in quell’anno anche Canzonissima e viene da due successi stratosferici con cui ha dominato le classifiche e con i quali ha allargato la platea del suo pubblico: “La fisarmonica” con cui ha conquistato gli adulti della provincia che frequentano le balere e “Notte di ferragosto” che invece conquista i grandi che ballano i lenti nelle rotonde sul mare.  

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Ascolta il brano di Lusini, collega della stessa “scuderia” (etichetta Arc) e rimane folgorato. Lui è il bravo ragazzo del nostro pop, che ha modernizzato la melodia tradizionale con la sua verve e voce, è lontano anni luce dal beat che avanza e dalle canzoni di protesta che iniziano a circolare (“Uomini uomini”, Roby Crispiano, “Che colpa abbiamo noi”, Rokes, “I capelli lunghi”, Gene Guglielmi, “Noi non ci saremo”, Nomadi), ma è attratto da quel pezzo, affascinato da quella storia che fa pensare e non parla di amore, vuole inciderlo. Anche contro la volontà del suo produttore e coautore della canzone Migliacci e dei suoi discografici.

 

Il disco

E alla fine ce la fa, registra così “C’era un ragazzo…” che Ennio Morricone ha arrangiato con sapiente maestria (notevole il controcanto dei fiati che sottolinea l’epilogo drammatico della storia).

La Rca comunque non era convinta dell’operazione, temeva un flop, riteneva che il Gianni nazionale che con quella mossa aveva sparigliato le carte fino ad ora mostrate, potesse rischiare di perdere il suo pubblico e di essere troppo in ritardo per accreditarsi come cantante beat per i giovani che seguivano quella tendenza. Perciò, prudenzialmente, inserì come lato B del 45 giri una classica canzone d’amore “Se perdo anche te”, cover di “Solitary man” di Neil Diamond. E in effetti i risultati di vendita furono controversi, “C’era un ragazzo” entrò nella top 10, ma agli ultimi posti, mentre in seguito “Se perdo anche te” raggiunse le prime posizioni. Sarà il tempo invece a dare ragione a Morandi e a questo pezzo, acendolo diventare oltremodo popolare e un evergreen dal forte impatto emotivo.

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45 giri, Morandi e Lusini

La censura

Il disco incappò nella scure della censura Rai per i versi “mi han detto va nel Vietnam e spara ai Vietcong”, e un po’ per tutta l’atmosfera antiamericana (paese alleato in quel modo diviso in due blocchi) che vi si leggeva. Ci fu addirittura un’interrogazione parlamentare nella quale si chiedeva come “si permettesse ad un autore di musica leggera di criticare la politica estera di un paese amico come gli Stati Uniti”. Per non parlare poi dei penosi suggerimenti da parte di funzionari di viale Mazzini, nel corso di trasmissioni televisive in cui era programmata la presenza del cantante per eseguire il pezzo, tendenti a far sostituire le parole incriminate (Vietnam e Vietcong) con Corfù e Cefalù. Migliacci si rifiutò però di storpiare il brano e suggerì a Morandi di cantare, proprio per sottolineare l’avvenuta censura, “gli han detto va’ nel tatatà e spara ai tatatà”, cosa che Morandi fece. Ecco il video della prima ed unica esibizione insieme di Morandi con Lusini nel programma televisivo “E sottolineo ye”, documento che testimonia la censura applicata alla canzone.

Il rilancio di Joen Baez

Il brano comunque grazie all’interpretazione e al rilancio da parte di Joan Baez che in quella canzone aveva trovato un’adesione e un sostegno alle sue idee pacifiste di fronte all’escalation della Guerra del Vietnam, divenne un successo internazionale (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania), un classico antimilitarista, il cui messaggio oltre ad essere universale è rimasto purtroppo nel corso degli anni sempre attuale.

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Le cover

Oltre all’incisione di Lusini, uscita in contemporanea con quella di Morandi nel 1966, il brano ha avuto varie trasposizioni in lingue diverse, facendo così il giro del mondo. C’è una versione tradotta in portoghese “Era um Garoto que Como Eu Amava os Beatles e os Rolling Stones” portata al successo in Brasile a più riprese, dai gruppi Os Incríveis nel 1968, Engenheiros do Hawaii nel 1990 e KLB nel 2007. C’è stata quella lanciata in Grecia, dove divenne “Kapoio agori opos ego latreve” e fu ripresa sempre nel 66 dal complesso dei We Five in cui c’era un giovanissimo Demis Roussos a suonare e a fare il coro. Ci fu anche una cover in bulgaro.

Naturalmente non poteva mancare la versione russa, nella nazione cioè che ideologicamente era “al fianco dei Viet Cong contro l’imperialismo americano” durante quel conflitto, qui nel 1968 fu resa famosa dal gruppo sovietico “Poyushchiye Gitary” (Поющие Гитары), col titolo: ” Byl odin paren’ ” (Был Один Парень) e di cui c’è un curioso video antesignano delle moderne clip, in cui il complesso brilla per la sua staticità ispirata alle opere del realismo socialista.

1966-2016

Sono passati cinquant’anni dal lancio di questo brano, la Guerra nel Viet Nam non c’è più e quei giovani che amavano i Beatles e i Rolling Stones oggi sono uomini maturi che rimpiangono i loro sogni, il mondo però è sempre in fibrillazione e sono cambiati scenari e protagonisti delle guerre e delle violenze, la canzone perciò con quel testo che fa riflettere e quella musica che coinvolge diventa un messaggio universale e continua ad emozionare come allora e ad essere ascoltata e vissuta con partecipazione. Come dire “C’era un ragazzo” che come noi amava quella musica e aveva certi ideali e c’è ancora nonostante tutto.

 

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