Albino Bernardini, una vita dalla parte dei bambini
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Albino Bernardini, una vita dalla parte dei bambini

Albino Bernardini si è spento a 98 anni nella sua casa di Bagni di Tivoli. Ricordiamo il maestro e il pedagogo con un testo-racconto su di lui di Artemio Tacchia.

Albino Bernardini, una vita dalla parte dei bambini
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1 Aprile 2015 - 11.26


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Albino Bernardini si è spento a 98 anni nella sua casa di Bagni di Tivoli. Ricordiamo il maestro e il pedagogo con un testo-raconto su di lui di Artemio Tacchia apparso su Volti Parole, un libro di storie e testimonianze del 2011.



di Artemio Tacchia

Ho incontrato Albino Bernardini per la prima volta nell’ottobre del 1973. La scuola elementare, una succursale della “T. Neri” di Bagni di Tivoli (oggi Tivoli Terme), era ospitata in un appartamento privato di via dei Fauni: una parallela della statale Tiburtina che muore nei pressi del ponte della ferrovia ai confini con Villalba di Guidonia (Rm). Un quartiere operaio e impiegatizio, dignitoso, con palazzi che allora sembravano alti e che oscuravano le strade ma che erano nulla rispetto a quelli mastodontici ed alienanti di oggi. Io iniziavo il mio lavoro di maestro e lui, dopo qualche settimana, lo lasciava, “comandato” per avventurarsi in un faticoso quanto edificante pellegrinaggio in moltissime scuole d’Italia e d’Europa (1). Ormai era diventato “famoso” e i maestri più desiderosi di capire per rinnovare la propria metodologia e la propria didattica lo chiamavano in classe, discutevano con lui insieme agli alunni: proprio come egli aveva fatto per tanti anni con l’amico Gianni Rodari, indimenticabile “poeta” e scrittore per ragazzi, e la scrittrice Ada Marchesini Gobetti.

Bernardini – «il maestro militante», secondo una felice definizione di Rodari – è stato un punto di riferimento importante per molti insegnanti. In quegli anni, con l’approvazione dei Decreti Delegati (1974) e la partecipazione delle famiglie, degli alunni e dei docenti alla sua gestione democratica, la scuola italiana fu rivoluzionata (o, almeno, così ci si illuse). Il maestro sardo, che si era ribellato alle bacchette e all’esclusione ed aveva insistentemente invocato la presenza educante dei genitori a scuola, aveva vinto la sua battaglia. Insieme alle lotte ed alle riflessioni di altri (Rodari, don Milani, Lodi, Ciari, Dolci) nonché alle sperimentazioni del Movimento di Cooperazione Educativa, con Bernardini i giovani insegnanti tentarono così di realizzare “la nuova scuola” – aperta, laica, democratica e popolare – e di dare valore e concretezza al rispolverato “diritto allo studio” costituzionale.

Ma, più che ai libri, coloro che ogni giorno operavano nelle aule – combattendo guerre contro colleghi, direttori e presidi conservatori – rubarono utili strategie didattiche ed insegnamenti al fortunato sceneggiato televisivo Diario di un maestro del regista Vittorio De Seta (attore protagonista un eccezionale Bruno Cirino) che la RAI – quando faceva vero servizio pubblico – aveva prodotto nel 1972 e mandato in onda a puntate nel febbraio-marzo 1973. Mediamente, dodici milioni di spettatori ogni domenica sera si posizionarono davanti alla televisione per vedere e capire «quel modo nuovo di fare scuola, ispirato alla pedagogia attiva che si rifaceva al grande pedagogista francese Celestine Freinet» (2) e che Albino Bernardini aveva raccontato nel suo libro-diario Un anno a Pietralata (1968, La Nuova Italia Editrice). È stato grazie a questo film che la gente ha cominciato ad avere consapevolezza che in Italia un’altra scuola era possibile perché un altro modo di insegnare era possibile.

Bernardini si avvia a compiere 94 anni(il testo è stato scritto 4 anni fa, ndr): è nato, infatti, a Siniscola (Nuoro) il 18 ottobre 1917. Abita dal 1963 a Tivoli Terme (3) con la “tata” Giuliana Chessa, sarda pure lei e maestra nel cucinare piatti regionali (seattas, pane salittu, gurugliònes – come si chiamano nel dialetto di Bitti) con ingredienti che si fa arrivare direttamente dall’isola. L’appartamento, al terzo piano di un palazzo degli anni Sessanta al quale si accede attraverso una scalinata ed un ampio cortile, s’affaccia proprio su via dei Fauni, di fronte all’ex-palazzina che ospitava la scuola e che da pochi anni, dopo essere stata abbattuta e ricostruita, è stata restituita alla sua funzione originaria.

Il suo studio sono due piccole stanze luminose, piene di libri e cartelline. Dentro un vecchio divano sono gelosamente custodite 16.000 lettere, e centinaia di giornalini, disegni e lavoretti sono da anni affastellati sui ripiani della libreria. Materiali preziosi che i bambini – tra i quali quasi tutti quelli che ho avuto nel corso degli anni come miei alunni – e i docenti gli hanno inviato da ogni parte d’Italia. Le pareti sono tappezzate di opere dei ragazzi: policrome creazioni che contribuiscono a cullare questo “grande vecchio” dentro il bel mondo fantastico e creativo nel quale è costretto a stare a seguito della malattia che lo ha colpito una quindicina d’anni fa. Un mondo, però, dove Albino Bernardini non ci vive inattivo. Ancora riceve docenti, legge ogni mattina “l’Unità” («Se mi manca l’Unità sono un uomo morto», mi ha confessato), con la sua inseparabile “Olivetti 35” color crema scrive presentazioni e articoli per giornali, rilascia interviste, produce libri: gli ultimi, Eppure gli volevo tanto bene e Tre ragazzi e un cane…e altri racconti sono usciti da pochi mesi (4).
Quello a cui tiene di più, però, e al quale sta lavorando da anni aiutato dal figlio Francesco, è quasi pronto. «Nel prossimo libro parlerò di tutto quello che mi è successo nella vita, dal giorno che i nonni toscani, che si chiamavano Bernardino con la o, sono sbarcati in Sardegna. Parlerò della militanza politica nel PCI, dei pessimi rapporti col senatore Pirastu, di quando spararono a mio fratello, dei giorni in galera e delle occupazioni delle terre». Me lo ha mostrato il dattiloscritto – una biografia che attraverserà un secolo – e sorridendo, ha mormorato che: – Ormai questo è proprio l’ultimo! Se viene fuori questo libro, allora ho finito!

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Non gli credo, e glielo dico: – Tu scriverai fino alla fine, magari proprio un racconto sulla partita a scopone che stai giocando con la nera signora. Sì, perché, senza infingimenti, il maestro sente il peso degli anni e non si nasconde che, prima o poi, dovrà – come ognuno di noi – abbandonarsi tra le braccia della ineluttabile morte. Ed, allora, l’ho buttata lì la domanda che non andrebbe mai fatta ad una persona molto anziana, sommessamente: « Albino, ci pensi alla morte?».

«Io ci penso spesso – mi ha risposto serio, senza titubanze, onestamente come sempre ha fatto nella vita – però, siccome le mie idee sono tali che contrastano con chi crede – a parte il fatto che si rispetta chi crede – mi sembra impossibile che ci sia della gente che crede nell’aldilà. Io non sono credente e la morte non mi fa paura. La guardo con indifferenza. Mi fa paura solo pensare che lascerò amici e compagni e gente che potrebbe ancora farmi vivere bene. Per questo vorrei vivere».

Ha quasi un secolo “il maestro di Pietralata” – com’è buffo il destino! Nella borgata romana ci ha lavorato solo un anno e per via della sua esperienza raccontata nel libro e poi sceneggiata dalla tv per una vita intera s’è portato appiccicato addosso questo epiteto – ma appare sempre un allegro giovanotto infilato nella sua tuta azzurra che lo riporta ai tempi della gloriosa “Scintilla”, quando nel 1957 a Bitti (Nu) non faceva solo il maestro ma anche l’allenatore di calcio d’una imbattibile squadra di ragazzini (5).

La Sardegna gli è rimasta dentro, nel profondo. Ogni suo libro, in particolare quelli destinati ai ragazzi, sono pieni di racconti e di personaggi che evocano la sua terra. Sulla parete del salotto, tra le tante dei figli e dei nipotini, spiccano due fotografie storiche: una ritrae la sua “vecchia” famiglia (12 figli!) e l’altra ci restituisce lui sul palco nei giardini di Nuoro insieme al “Migliore”, Palmiro Togliatti. «Al comizio c’era tanta gente – ricorda – Nuoro è sempre stata di sinistra. Con Togliatti noi neanche parlavamo. Era un boss del sapere, ci incuteva paura». Eccolo lì: segaligno, già stempiato con i baffi, teso e ben calato nel ruolo dentro un trence beige fissare la folla, con alle spalle una gigantesca falce e martello posizionata sulla Sardegna e la scritta “PACE – LAVORO”. Era il 1953 e Bernardini («forse per moda, senza capire cosa facevo») s’era da una decina d’anni iscritto al PCI e svolgeva il lavoro politico di funzionario di partito. Diventerà, per i carabinieri che lo schederanno, un «elemento pericoloso per l’ordinamento dello Stato, in quanto attivista del PCI, del quale è stato sempre fanatico assertore, soprattutto dopo aver frequentato nel 1949-1950 un corso di mistica comunista a Bologna» (6). Abbandonerà, però, l’attività politica nel 1957 dopo i fatti d’Ungheria e, soprattutto, a causa dei durissimi contrasti con il segretario regionale Pirastu: «Un uomo capace di tutto! – confessa con rabbia Albino – Me ne ha combinate di tutti i colori perché aveva paura che io potessi sostituirlo». Bernardini, che per il suo essere sempre dalla parte dei vinti, dei poveracci e degli sfruttati s’era fatti anche quattro mesi di carcere (marzo-luglio 1950) a Macomer ed Oristano per aver organizzato i così detti “scioperi alla rovescia” e partecipato alle lotte dei braccianti nell’occupazione delle terre a Sorgono e Bortigali, è restato comunque «sempre fedele alla linea, anche se sono cambiati i tempi e quindi le idee». Negli anni 1964-70 e 1975-78 tornerà a prestare la sua esperienza come consigliere comunale a Tivoli (7).

La sua vocazione vera, però, è stata la scuola, il rapporto con i ragazzi. Qui ha dato il meglio di sé come combattente. Ma non sarebbe mai diventato il maestro che è stato (che è ancora) se il suo «protettore», l’ispettore scolastico Carmelo Cottone, non l’avesse dapprima chiamato ad insegnare nelle scuole di guerra (come la maggioranza dei giovani di allora anche Bernardini subì l’infatuazione per l’ideologia fascista) e poi, dopo l’allontanamento come funzionario di zona, «riammesso in ruolo» e assegnato a Lula.

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Lula, croce e delizia per il giovane mastru sardo. È qui che dovrà fare i conti con l’assurdità della vecchia scuola, si scontrerà con il prete locale e le beghine del paese, rigetterà l’uso della violenza e della punizione corporale, scoprirà il valore educativo e democratico del dialogo con i ragazzi e, anticipando i tempi, con le famiglie. Qui, fuori dalle scalcinate pareti scolastiche, userà piazza Gazina per i suoi incontri “pedagogici” con la gente del paese. Più tardi da questa esperienza nascerà l’altro libro-diario “Le bacchette di Lula” (1969, La Nuova Italia Editrice). Nella prefazione Gianni Rodari scriverà: «Un maestro non è tenuto, per contratto, a proporsi, oltre all’istruzione della sua “scolaresca”, la rieducazione di un intero paese. Un uomo, se è un uomo, sì. Su questo il maestro Bernardini non ha dubbi. Impegno scolastico, impegno sociale, impegno politico fanno per lui tutt’uno». Non finì l’anno scolastico (1950-51) – la Curia e la burocrazia lo allontanarono – ma lo scossone che aveva dato alla comunità locale lasciò segni profondi, tanto che, nel 2007, in occasione dei suoi 90 anni, l’Amministrazione comunale ha organizzato un convegno di studi a lui dedicato e gli ha conferito la cittadinanza onoraria (8).

Riesce ancora ad indignarsi, mastru Bernardini, verso la ministra Gelmini e la sua controriforma liberista che riporta di colpo la scuola agli anni di Lula (i voti, il merito, la selezione, l’esclusione, l’insegnante unico, la riduzione delle ore, l’accorpamento delle classi e degli istituti, il premio ai docenti-docili più meritevoli). Gli chiedo se la sua idea di scuola sia ancora d’attualità: «Sicuro – risponde – noi guardavamo al bambino per aiutarlo a crescere e come farlo crescere. Invece questa ministra non si interessa del bambino ma dei soldi che si spendono per i bambini. Pensa a risparmiare, a tagliare, a distruggere la scuola di tutti».

Ma che maestro è stato Albino Bernardini? La sua è stata, oltre che dello sperimentare e del fare, soprattutto una scuola dell’ascolto, del dialogo e della comunicazione (il giornalino, la corrispondenza, gli incontri, le discussioni, la lettura dei giornali); della democrazia condivisa e della cooperazione (il lavoro di gruppo, le regole, il rispetto reciproco); della fantasia e della creatività (il testo libero, le storie senza finale, le poesie). Un metodo che ha continuato ad applicare anche quando, invitato, ha visitato centinaia di scuole.

Quando entrava nelle mie classi, si sedeva in cerchio tra i bambini e li invitava a parlare: non teneva lezioni. Noi avevamo preparato le domande, ma saltava tutto… niente predefinito: colloqui liberi, sinceri, fantastici. E, soprattutto, tanta allegria! Così nella corrispondenza scolastica: anche sulle questioni serie che i bambini gli ponevano, lui rispondeva sempre scaraventandoli nel paese dell’immaginazione, obbligandoli a rispondere dopo aver usato la fantasia.

Bernardini ha praticato – più che scritto dall’alto di una “distante” e fredda cattedra universitaria – una scuola aperta nel senso più completo del termine. «La sua è una pedagogia della prassi – scrive Rinaldo Rizzi – che si invera giorno per giorno nel sociale. Non discende solo da schemi teorici ma vive di una carica umana e giorno per giorno della scelta di campo a favore dei marginali e dei deboli» (9).

Il “maestro di Pietralata” è anche uno scrittore per ragazzi. Leggero, ma non banale. Le sue storie sono scritte con un linguaggio semplice, facili da comprendere, spesso allegre, sempre vicine alla quotidianità dei bambini pure quando sono ambientate nei luoghi dell’infanzia dell’autore (10). Molte sono “aperte”, con le conclusioni lasciate alla libertà e alla creatività dei bambini. Bernardini non ricorda se ha mai discusso con Gianni Rodari di questa tecnica: «Rodari – dice – non l’aveva provata mai. Non ricordo se l’ho inventata dopo che lui è morto. Già a scuola, io scrivevo l’inizio della favola e quando stava per terminare dicevo ai bambini: continuate voi!». In Grammatica della fantasia (p. 61, 1973 Einaudi), Gianni Rodari afferma qualcosa di molto simile, e cioè che «anche a fiaba finita, c’è sempre la possibilità di un “dopo”». Ma non è la stessa cosa: un conto è finire una storia, un altro è continuare una storia finita.

All’inizio degli anni Ottanta, la Rai mandò in onda 10 storie di bambini scritte da Bernardini, poi raccolte nel libro Bobbi va a scuola, 1981 ERI. Da allora non si è più fermato, sfornando libri a ripetizione (11). «Il fine della sua produzione per ragazzi – scrive G. Guzzo – non era quello di trasmettere messaggi educativi, ma solo di creare intorno all’infanzia un clima di gioiosa serenità […]. Come altri scrittori per l’infanzia dei nostri giorni, Bernardini sostiene il valore artistico della letteratura infantile e conferma, ancora una volta, l’impossibilità di escludere dal mondo infantile la categoria dei sentimenti contro la tesi crociana che legittimava l’immaginario solo nel nome dell’utilità e del contingente» (12).

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Ma con questa “macchina gioiosa”, fatta di tutti i suoi libri dove i ragazzi riescono sempre a dialogare tra loro, a convincere gli adulti a fare scelte giuste e democratiche, per sessant’anni in tutt’Italia mastru Bernardini ha trasportato e cercato di fare affermare un’idea positiva che, malgrado la sfiducia e la disillusione che la realtà ci sbatte continuamente in faccia, lui continua a riporre nei bambini: la speranza che un altro mondo – più uguale, più libero, più solidale – è possibile e l’invito a non arrendersi e, dunque, a continuare a lottare per concretizzarlo.

Un combattente, insomma, il “maestro di Pietralata” che fino alla fine non si demorde.


1- Questo incontro lo ricorda anche nel suo libro Un viaggio lungo trent’anni tra i bambini e ragazzi italiani, p. 96, 1996 Edizioni Castello. Bernardini lasciava la scuola per andare in “comando” ministeriale; in pensione verrà collocato nel 1977. Tuttavia, la nostra frequentazione è continuata in tutti questi anni proficuamente: assemblee a scuola con i genitori e incontri con alunni e i docenti (Albuccione di Guidonia, 1977 – Riofreddo, 1982 – Roviano, 1986,1990,1992 e 2001), proiezione del film “Diario di un maestro”, 1978, con relativo dibattito a Roviano (Rm), collaborazione con giornali (“Il giornale dei ragazzi”- Paese Sera, 1986-87 e “Rodari club” – Tendenze, 1986-87), partecipazione con la classe alla presentazione del libro Le avventure di Grodde a Tivoli, 1989), corrispondenza scolastica, ecc.

2- Giuseppe Guzzo, Da Lula a Pietralata. Le battaglie di Albino Bernardini per il rinnovamento democratico della scuola elementare, p. 116, 2007, Rubbettino Editore. A Rodari e Freinet devo molto anch’io. Per saperne di più, Célestin Freinet, Le mie tecniche, 1969 La Nuova Italia, Firenze.

3- Vi si trasferì dopo aver abitato alcuni anni a Tivoli. Albino sposò Vincenza Demurtas nel 1946 e dalla loro unione sono nati tre figli. Vincenza è morta nel 1996.

4- L’ultimo è stato presentato il 27 novembre 2010 presso la libreria Fonti Sonore a Tivoli. Per il romanzo, vedi: A. Tacchia, Eppure gli volevo tanto bene!, in XL n. 1 del 14 gennaio 2010. Tutte le dichiarazioni virgolettate di A. Bernardini sono tratte dall’intervista che mi ha rilasciato il 15 febbraio 2010.

5- Leggi la testimonianza di Nino Bandinu, pp. 71-75, in G. Monni (a cura di), Albino Bernardini, i novantanni di un maestro. Convegno di studi, 2010 Amministrazione comunale di Lula.

6- Idem, Gavino Porcu, Albino Bernardini e Lula, pp. 15-19. Per avere un’idea della dura vita del militante comunista in Sardegna negli anni del dopoguerra, leggere di A. Bernardini e Tonino Mameli, Storie di gente comune. Esperienze politico culturali in Sardegna, 1993 Ed. Castello.

7- Mario Marino (a cura di), Sindaci, consiglieri e assessori del comune di Tivoli (novembre 1870- febbraio 2008), 2008 Grafica Aniene, Tivoli.

8- L’Amministrazione comunale di Lula, nel febbraio 2010, ha pubblicato gli atti nel volume: G. Monni (a cura di), Albino Bernardini, i novant’anni di un maestro. Convegno di studi, Tip. La Bittese, Bitti (Nu). Vedi anche, A. Tacchia, Un libro e la cittadinanza onoraria di Lula per Bernardini, in XL del 17 gennaio 2008.

9- Rinaldo Rizzi, Un maestro del riscatto. Dalla Barbagia alla borgata romana, un costante impegno d’educazione sociale, p. 58, in G. Monni (a cura di), op. cit.

10- Più impegnativi i libri per i ragazzi “grandi”: Disavventure di un povero soldato (1988, Juvenilia) e Eppure gli volevo tanto bene! Storia di un ragazzo di borgata (2009, Kimerik). Ne La banda del bolide (1991, Dattena) mi coinvolse chiedendomi di redigere le schede didattiche allegate al libro.

11- L’ultimo, Tre ragazzi e un cane… e altri racconti (2010, Kimerik), ripropone cinque storie già pubblicate nel primo libro Bobbi va a scuola e una nuova, quella che dà il titolo al libro. Questo racconto “aperto” Albino lo scrisse appositamente per la mia classe IV nel 2006 e noi lo pubblicammo nel numero 4 del nostro giornalino SCINE, insieme ai “finali” scritti dagli alunni. Con alcune modifiche, a fine anno, nell’ambito del progetto d’Istituto “Arca di Pace”, la nostra classe utilizzò il racconto e un finale per realizzare il film Aula di pace, da inviare all’ONU e all’UNESCO al fine di ottenere l’istituzione in tutte le scuole del mondo di “un’ora di pace”.

12- Giuseppe Guzzo, op. cit., pp. 169-170.

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