"Il mio Lucrezio, ateo e mangiapreti. Come me"

Intervista a Piergiorgio Odifreddi che firma un originale saggio sul grande autore latino. Il fascino di un senza Dio che il cattolicesimo non è riuscito a cancellare dalla storia

"Il mio Lucrezio, ateo e mangiapreti. Come me"
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17 Aprile 2014 - 22.16


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di Annalina Ferrante

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Di Titus Lucretius Carus, poeta latino del I secolo a. C. la tradizione antica ci ha lasciato poco. Nato intorno all’ultimo decennio a.C. forse a Pompei, morto intorno al 55 d. C.. Le uniche notizie rilevanti, tutt’altro che certe, vengono curiosamente da un padre della Chiesa – che a sua volta riprende Svetonio – Girolamo, il quale ci informa della follia di Lucrezio per un filtro d’amore che lo avrebbe portato, poco più che quarantenne, al suicidio.
Negli intervalli di lucidità, avrebbe composto il suo poema, il De rerum natura, arrivato fino a noi nella forma che gli avrebbe dato Cicerone dopo averlo corretto.
L’opera, che si apre con un’invocazione a Venere, è composta di sei libri ed espone un pensiero che è quanto di più epicureo ci sia tra le opere antiche, sposato indissolubilmente alla teoria atomistica di Leucippo e Democrito.
Un materialista convinto, Lucrezio. Le sue intuizioni scientifiche sul mondo, la natura e l’uomo, il suo rifiuto netto e radicale degli inganni pericolosi di tutte le religioni che confondono la mente, lo ha esposto spesso nei secoli, ad un silenzio pervicace.
Sarà per questo che l’ultimo libro Come stanno le cose, edito da Rizzoli, del “matematico impenitente” nonché ateo convinto Piergiorgio Odifreddi è dedicata a lui, con una traduzione commentata del De rerum natura che lascia sorpresi per la molteplicità dei temi che l’autore affronta.
La novità dell’operazione editoriale ha due aspetti. La prima è la traduzione, libera, del testo: 7415 versi in esametri dattilici catalettici, non proprio semplici da rendere in forma chiara e trasparente e resi fluidi in italiano con un ritmo da valzer viennese. La seconda è che al posto del testo latino a fronte, il libro è ricco di commenti, note, incursioni nella fisica, nella matematica, nella biologia, nella filosofia, nella storia. Insomma, metà delle pagine sono uno sguardo pirotecnico su temi e problemi dello scibile umano.
Babylon Post ha chiesto all’autore il perché di questa impresa e se Lucrezio conserva ancora, a dispetto dei secoli che ci dividono da lui, una sua modernità.

«Lucrezio – racconta Odifreddi – è attuale per due motivi molto semplici. Il primo è perché è un uomo di lettere che ha capito che se si vuole scrivere un libro interessante bisogna parlare di scienza, cioè bisogna fare divulgazione scientifica.
Messo a confronto, per esempio, con Dante, un altro letterato che era altrettanto bravo nei confronti della lingua ma molto meno bravo per quanto riguarda i contenuti, Lucrezio vince a mani basse. Oggi leggere Lucrezio significa immergersi praticamente nella visione scientifica del mondo che è quella che da quattro secoli domina la nostra cultura, mentre invece leggere Dante ci rimanda ad una visione anacronistica del mondo che non vale la pena. Anzi, bisognerebbe criticarlo invece di osannarlo .
Il secondo motivo, la novità e la sua la sua modernità riguarda l’atteggiamento nei confronti della metafisica e più in generale della religione. Lucrezio non era proprio un ateo nel senso che credeva nell’esistenza degli dei, però i suoi erano dei lontani, che non si interessavano degli uomini e che soprattutto erano indifferenti a ciò che gli uomini potevano pensare e chiedere a loro. Un po’ alla maniera di Voltaire direi. Voltaire era un deista, credeva appunto in una nozione astratta di dio, di divinità, ma ce l’aveva a morte con i preti e con le chiese.
In Lucrezio c’è la stessa cosa. E il suo pensiero è ancora oggi estremamente moderno e attuale perché il mondo occidentale, ma soprattutto quello italiano, è fatto in grande maggioranza di baciapile. Non parliamo, poi, con l’arrivo del nuovo papa: sembrano tutti usciti completamente fuori di testa, soprattutto quelli che si dichiarano atei e che invece si inginocchiano di fronte a lui .
Coniugando il valore letterario, la profondità dei contenuti scientifici e l’atteggiamento antimetafisico e anticlericale mi sembra che sia difficile operare oggi meglio di Lucrezio».

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Non è un caso che lei abbia scelto come esergo una bellissima citazione di Primo Levi che sottolinea come nei licei non si legga volentieri Lucrezio, ufficialmente per la difficoltà dei suoi versi, in verità perché attraverso di essi ha sempre “emanato odore di empietà” e che questo sia all’origine dell'”involucro di silenzio” che gli si è costruito intorno nei secoli e per il quale di quest’uomo oggi si sa poco e nulla.

Ci sono periodi diversi nella storia del libro di Lucrezio. Per qualche millennio il libro è andato perduto non se ne trovavano più copie. Si sapeva della sua esistenza, perché alcuni autori lo avevano citato e alcuni versi erano stati riportati da altri poeti, da critici letterari.
I motivi per cui il libro è andato perduto probabilmente sono quelli che lei ha accennato e cioè un ostracismo da parte della nuova religione, il cristianesimo.
All’inizio del libro, ho inserito una frase famosa di Flaubert che la Yourcenar prese come ispirazione per le sue memorie di Adriano e in cui Flaubert dice che c’è stato un momento nella storia dell’umanità in cui l’uomo era solo, gli dei del passato erano ormai barcollanti perché la gente non ci credeva più, e gli dei del futuro, quelli del cristianesimo, ancora non erano arrivati, non avevano ancora preso piede.
Ma quando poi, con l’editto di Costantino, l’editto di Teodosio e così via, la religione cristiana fu ratificata come religione di Stato, è ovvio che un libro come quello di Lucrezio desse fastidio tanto da provocare il suo ostracismo. All’epoca, poi, era facile mettere da parte i libri. Le copie venivano ricopiate a mano una per una, non erano pubblicate a migliaia come oggi. Bastava non ricopiarle più e dopo un po’ quelle in circolazione si sarebbero deteriorate e il libro sarebbe andato perduto.
La riscoperta del De rerum si ebbe nel 1417 quando Poggio Bracciolini, il segretario di Giovanni XXIII l’antipapa, ritrovò il manoscritto in un monastero del nord Europa. Questa riscoperta si inserì perfettamente nell’atmosfera del Rinascimento e della filosofia naturalistica dell’epoca.
Qui trovò subito un ambiente fertile. Per esempio, Botticelli si ispirò, per i suoi quadri più famosi come La nascita di Venere e la Primavera proprio ai versi di Lucrezio.
Ma la Chiesa era ancora lì, il suo potere in molti stati, come quello Vaticano, era fortissimo. Il primo traduttore italiano di Lucrezio, Alessandro Marchetti, che era anche lui un matematico, tradusse l’intero De Rerum ma per cinquant’anni non poté pubblicarlo e quando lo fece, in Inghilterra, immediatamente il libro cadde nelle grinfie del Santo Uffizio e fu messo all’indice.
Per fortuna, però, una buona parte della cultura europea lo prese in considerazione, lo valutò e lo apprezzò. Nell’introduzione del libro faccio un lungo elenco di coloro che sono stati dalla parte di Lucrezio come Montaigne, Diderot e, in Italia, Machiavelli, Leopardi, Calvino, Levi e poi ancora Borges, la Yourcenar.
Lucrezio ha avuto il suo pubblico ma ha dovuto combattere anche contro quelli che la pensavano diversamente, in primis coloro che non consideravano la scienza interessante o degna di essere studiata. Ma anche coloro che, pur essendo all’interno della scienza, magari non erano atomisti e non seguivano la filosofia epicurea. Che, poi, l’atomismo è diventato il pensiero vincente degli ultimi cento anni. Oggi, di norma siamo tutti atomisti, ci viene insegnato fin dalle elementari, ma prima del Novecento non era così.
I papisti, i clericali, certamente, non consideravano Lucrezio un autore da leggere. Primo Levi si riferiva a loro. Purtroppo sono proprio questi conservatori e reazionari che poi determinano i programmi di studio nelle scuole e ancora oggi, nelle nostre scuole, Lucrezio non è proprio il libro che tutti studiano. Mentre invece Dante si, come dicevamo prima e il perché è ovvio: quando si parla di inferno, purgatorio e paradiso, angeli e demoni va sempre bene, quando invece si parla di una visione materialista atea, anticlericale va sempre male.

Indubbiamente il [i]De Rerum[/i] è un libro dissacrante. La storia del pensiero umano abbonda di libri ispirati alla natura, pensiamo solo ai presocratici. Lucrezio però ha aperto porte che nessuno aveva aperto fino ad allora. Il suo pensiero ha delle intuizioni felici per la conoscenza della natura e dell’uomo stesso.

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Sicuramente. La cosa più interessante, per me che appartengo dall’ambiente scientifico, è stato ritrovare moltissime delle cose che noi credevamo essere state scoperte recentemente, e per recentemente mi riferisco alla scienza degli ultimi quattro secoli.
Scoperte che, per esempio, attribuiamo a Galileo come il fatto che nel vuoto i corpi cadono tutti con la stessa velocità, è scritto nel libro di Lucrezio, nero su bianco. Oppure la visione atomistica a cui alludevo prima; la definizione di buco nero, letterale, una massa così concentrata da cui non può fuggire nemmeno della luce e così via.
Il libro di Lucrezio è moderno anche per quanto riguarda le scienze umane. La sua visione medica è molto diversa da quella tradizionale. Nel pensiero popolare, per esempio, predominava l’idea che la malattia o il malocchio si potevano attaccare o per sfortuna o per castigo di dio, mentre Lucrezio, quando riferisce dell’epidemia di peste ad Atena, dice chiaramente che non è stata inviata dagli dei né che è arrivata per caso, ma che c’è stata un’infezione, una nube che ha “trasportato” il contagio, e così via.
Tra il 1500 e il 1600, i medici cominciarono a studiare le epidemie che c’erano state in Sicilia secondo l’ottica lucreziana: vedere se c’era stato contagio, come si era diffuso, quali potevano essere le misure contro la sua diffusione e così via. Fu in particolare il matematico Marchetti, che come dicevo, tradusse tutta l’opera, a cominciare questo tipo di studi.
Il De rerum natura è stato sicuramente un libro fondamentale anche se poi, come sappiamo, è stato letto poco e non è stato certo un successo editoriale di cui tutti potevano parlare come è successo per il libro di Galileo che, al contrario, è stato letto da moltissime persone sia perché è stato scritto in volgare sia perché è stato pubblicizzato, se così si può dire, dal processo subito dal suo autore. Lucrezio è stato sicuramente meno letto, ma forse i pochi erano quelli buoni, quelli che contavano effettivamente.

Credo che la modernità di Lucrezio e il suo ateismo si trovi soprattutto quando parla della mente umana, di psichè. Nella traduzione che lei propone, Lucrezio parla di “mente incarnata”, l’anima a cui lui fa riferimento non è un’anima immortale ma un’anima che nasce e muore con il corpo. Dice Lucrezio: “La psiche non esiste né prima della nascita, né dopo la morte, bensì nasce e muore con e come il corpo” . Oppure: “Il corpo non nasce né vive da solo, e muore e si corrompe non appena viene separato dal corpo”. Una visione materialistica e non dualista del problema del rapporto tra mente e corpo.

Beh, questo credo sia l’aspetto più moderno di Lucrezio. Come dicevamo, l’atomismo ormai è nel sapere comune, grazie alla fisica e alla chimica non ci stupiamo più, laddove duecento anni fa sarebbe stato sorprendente, quasi rivoluzionario pensare il mondo costituito da atomi.
La novità maggiore, invece, sta nel pensare il mondo in maniera materialistica, in cui non c’è una separazione tra mente e corpo come Cartesio l’aveva posta agli inizi della filosofia occidentale moderna. Non c’è ovviamente l’anima, non ci sono entità metafisiche separate ma semplicemente, come oggi noi le chiameremmo nelle scienze cognitive, epifenomeni che emergono dalla materia. Ecco, Lucrezio è praticamente il primo cantore di un pensiero neurocognitivista che ancora oggi, però, non va per la maggiore.

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Il libro di Lucrezio è stato definito un libro maledetto perché l’autore scrive in maniera complessa. La traduzione è un lavoro di complicità tra l’autore della traduzione e l’autore del testo da tradurre, bisogna cogliere il senso delle parole, del testo al di là del significato letterale. Lei è uno scienziato, la sua è una libera traduzione molto accattivante. In che modo ha affrontato questo lavoro? È riuscito nel suo intento?

Non vorrei essere risultare un po’ presuntuoso ora. Questo non è il mio campo, non ho fatto nemmeno le scuole classiche, però devo confessare che quando ho letto Lucrezio in un paio di traduzioni, che sono poi quelle classiche di Einaudi e di Rizzoli, ho provato un senso di fastidio perché si capiva che doveva esserci dietro qualche cosa di estremamente interessante, ma tradotto in quel modo, cercando di preservare, per esempio, la struttura dei versi o meglio la suddivisione in versi non funzionava. I versi non si possono tradurre con il metro dell’esametro latino. Ci ho provato, ho messo all’inizio, in una pagina, cosa poteva succedere se uno avesse cercato di tradurre in modo assonante, cercando cioè di preservare il canto dell’originale e soprattutto il metro, che è un metro latino che in italiano non suonerebbe.
Uno può rimanere affascinato dal fatto che sta sentendo una cantilena con un certo ritmo, ma sicuramente non capirebbe quasi nulla, un po’ come succede all’opera dove si sentono le parole cantate ma per capire bisogna avere il libretto e avere molta attenzione. Quindi, tradurlo letteralmente preservando la struttura dei versi è una cosa, a mio avviso, impossibile da fare.
Certo i traduttori a cui alludevo prima, conoscono bene il loro mestiere e soprattutto sanno il latino però in Lucrezio ci sono dei temi che tradotti appaiono inutili e prolissi quindi va bene tradurli in poche righe perché risultino comprensibili.
Ci sono altri discorsi, invece, che vale la pena tradurre parola per parola, perché c’è il canto del poeta più che la prosa del divulgatore. Allora ho deciso di farlo in prosa. Non è la prima volta che succede di usare un linguaggio un po’ moderno, forzando a volte leggermente la traduzione.
Prima parlavo di buchi neri. È ovvio che l’espressione è di qualche decennio fa e Lucrezio quando parla di queste cose non usa l’espressione “buco nero”. Però, se poi con le note a fronte, spiego che ho usato questa espressione perché noi oggi noi chiamiamo così le cose di cui lui sta parlando, tutto questo diventa, forse, più facile da leggere.
Io avevo in mente, come possibile pubblico del libro, anche gli studenti che avessero voglia di leggere un libro che nella maggior parte dei casi non è considerato dai professori. Propinare una lettura difficile li allontana, si fallisce, perché oggi gli studenti sono abituati a linguaggi completamente diversi, quelli dei video, quelli della televisione e così via.
Il risultato è stato che mi hanno chiamato in tantissime scuole e questo vuol dire che forse il linguaggio è stato centrato.
Un’altra cosa molto importante è l’uso delle immagini perché i ragazzi, al giorno d’oggi, sono più visivi che uditivi, sono abituati appunto a una cultura che procede per immagini. Allora ho insistito con l’editore, che era scettico all’inizio, per fare una versione di Lucrezio con tutte queste immagini a colori e di metterle a fronte del testo al posto della traduzione in latino, perché se uno sa il latino, il libro lo legge in latino, non ha bisogno della traduzione e se non lo sa, è inutile inserirlo, sono pagine sprecate. Ho preferito inserire un commento in italiano che potesse servire a rendere il testo più moderno e sembra che la cosa abbia funzionato.

Un’ultima domanda sul sottotitolo: “Il mio Lucrezio e la mia Venere”. Il mio Lucrezio credo sia chiarissimo da tutto quello che abbiamo detto finora. Ma la mia Venere? Venere è l’invocazione che Lucrezio fa all’inizio del poema, ma non è il “Cantami o diva” di Omero, sembra un’interlocutrice concreta, un’ immagine reale non una divinità. E Odifreddi che c’entra con Venere?

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Beh, sa, siamo uomini! In realtà “la mia Venere” era perché questo inno a Venere è stato spesso frainteso, qualcuno ha voluto mettere in dubbio l’ateismo di Lucrezio o se si vuole il suo deismo, associando l’invocazione a con all’invocazione alla madonna.
In effetti sappiamo che nei primi secoli del cristianesimo, l’inno a Venere era diventato un inno alla madonna semplicemente cambiando la parola Venere con Maria e che le invocazioni ad Epicuro sono diventate preghiere a Gesù Cristo. Questo fa vedere che non solo i cristiani hanno rubato ma che le parole stesse potevano essere interpretate come qualcosa di religioso.
Allora ho voluto mettere in chiaro subito, fin dalla prima riga, che Venere per Lucrezio è l’immagine della natura e che invocare la natura è una cosa completamente diversa che invocare una qualsiasi divinità. È una specie di panteismo, è un modo, per un pensatore come Lucrezio, per riuscire a tenere insieme tutte le cose che sembrerebbero in realtà separate.
Giordano Bruno, aggiungiamo noi, qualche secolo dopo farà tesoro di questi pensieri.

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