La storia triste della salma di Battisti
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La storia triste della salma di Battisti

A 15 anni dalla morte di Lucio Battisti, il piccolo cimitero di Molteno sarà privato della salma del grande cantautore per volere della sua famiglia.

La storia triste della salma di Battisti
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Piero Montanari Modifica articolo

7 Settembre 2013 - 15.54


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di Piero Montanari

Da ieri, 6 settembre, il piccolo cimitero di Molteno, la cittadina brianzola dove Lucio Battisti aveva deciso di vivere e morire lontano da tutto e da tutti, sarà privato della salma del grande cantautore reatino per volere della sua famiglia. Così hanno deciso la vedova, Grazia Letizia Veronese, e il figlio Luca Carlo che vive a Rimini e che probabilmente avrà le spoglie di suo padre vicino, magari anche cremate.

La storia di questa traslazione è piuttosto triste, com’è stata triste l’uscita di scena di Lucio anni fa quando, come Mina (che però non ha mai smesso di regalarci canzoni) si allontanò definitivamente dalle scene e non volle più tornarci, fino alla morte avvenuta a 55 anni il 9 settembre del 1998. Ricordo l’ultima apparizione in video di Battisti, il 4 luglio 1980, in una trasmissione della tv svizzera, nella quale cantò, qualcuno sostiene per una scommessa, “Amore mio di provincia” e dove si vede il cantautore ingrassato e irriconoscibile.

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Triste uscita dal cimitero di Molteno, si dice perché motivata da una querelle tra la signora Veronese e il comune, per via di un festival intitolato al cantautore ai cui organizzatori fu intentato un ricorso per bloccarlo, ricorso che la vedova ha poi perduto.

Triste storia, anche perché le migliaia di ammiratori che andavano ogni anno a rendere omaggio alla tomba di Lucio, oggi non sanno dove portare un fiore o un biglietto d’affetto.

Triste seguito ha avuto la “vita” di Battisti anche dopo la sua morte, allontanato, nascosto da tutti e protetto come la reliquia di un santo intoccabile. Poco o nulla si può fare a suo nome e con le sue canzoni, un ricordo, una trasmissione televisiva, un festival, senza dover, anche giustamente, chiedere il permesso ai suoi eredi, e quasi mai ottenendolo.

Pur non condividendole, ma nel rispetto delle decisioni fortemente protezionistiche della sua vedova, dico però che autori come Lucio, un pezzo importante di storia sociale e musicale del nostro paese, non possono essere chiusi in un cassetto per poi gettare via la chiave. Capisco guardarsi dai vampiri sfruttatori sempre in agguato, ma non dimentichiamo che le canzoni, una volta scritte, appartengono anche alla gente e non più solo al loro autore.

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Per questo voglio ricordare Fabrizio De Andrè, che ha in sua moglie, Dori Ghezzi, la più grande e generosa divulgatrice dell’opera di Faber. Decine sono ogni anno i festival a suo nome e centinaia le cover band che suonano le sue canzoni, senza che questo dia motivo di querele o diatribe legali.

Quest’estate ho presieduto una giuria a Soriano nel Cimino, piccolo paese a nord di Roma, che per il secondo anno ha organizzato un bellissimo festival dal titolo “Risonando De Andrè”, e che ha visto l’avvicendarsi di alcuni tra i migliori gruppi italiani suonare la musica del cantautore genovese.
Dori Ghezzi era là e non ho mancato di dirle quanto questa sua disponibilità nei confronti del ricordo di suo marito fosse apprezzabile. Lei, per tutta risposta e con un sorriso disarmante, mi ha detto: “Ma non sono io, è Fabrizio che lo vuole e si fa ricordare da solo!”

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