di Gianfranca Fois
Mentre in Italia il nome e la conoscenza di Antonio Gramsci a livello politico e di opinione pubblica impallidiva negli anni, nel mondo invece Gramsci diventava, secondo una ricerca dell’Unesco, il saggista italiano moderno, più letto, studiato, commentato e citato dopo Machiavelli, venivano pubblicati su di lui circa 36.000 titoli in 80 lingue, e questo a partire soprattutto dagli anni settanta.
Viene allora naturale chiedersi, a questo punto, il perché di tanto disinteresse da una parte e di tanto interesse dall’altra. Per quanto riguarda la situazione italiana alla fine della seconda guerra mondiale vengono pubblicate le Lettere dal carcere, che vincono il Premio Viareggio, e, tra il 1948 e il 1951, i Quaderni dal carcere che, curati e progettati da Togliatti, ebbero un grande impatto sia nel mondo politico che in quello culturale. Alla fine degli anni sessanta si afferma soprattutto l’immagine del Gramsci rivoluzionario e leader politico ad opera in particolare dei movimenti politici e studenteschi del tempo.
In seguito però è subentrato quasi un senso di fastidio all’interno della sinistra italiana che, per far dimenticare il suo passato dopo la caduta del muro di Berlino, ha smesso di nominare, ricordare Gramsci e Marx.
Nel frattempo invece nel mondo Gramsci veniva considerato il pensatore in grado di fornire gli strumenti più idonei per conoscere e capire le sfide e le complessità della contemporaneità, vedi ad esempio quanto scriveva il famoso intellettuale palestinese Edward Said che ha insegnato a lungo in università americane.
E’ stato veramente affascinante perciò, nel corso del convegno “Mille libri per Gramsci” organizzato presso l’Università di Cagliari dall’Associazione Casa natale Antonio Gramsci in collaborazione con altre associazioni sarde che si richiamano a Gramsci, ascoltare studiosi di varie parti del mondo raccontare come le idee del pensatore sardo si siano diffuse, siano state utilizzate nell’ambito di studi scientifici o nella prassi politica, come soprattutto le principali categorie gramsciane: egemonia, rivoluzione passiva, ruolo degli
intellettuali, classi subalterne siano state interpretate e re-interpretate dimostrando di possedere grande modernità e vitalità.
Ed ecco allora una lettura inglese di Gramsci il cui pensiero ha consentito di capire che la lotta politica, culturale e storica non sta nel rapporto tra tradizione e modernità, ma tra la parte subalterna e la parte egemonica del mondo, e questo consente l’impostazione di analisi, configurazioni e costruzioni storiche, e non solo, da angolazioni inedite e impreviste. E così in Asia il collettivo Subaltern Studies, formatosi agli inizi degli anni Ottanta, all’ Università di Delhi, ha come fine di di ricostruire la storia del subcontinente indiano dando ascolto e voce ai subalterni che la storiografia inglese eurocentrica contemporaneamente a quella delle classi dirigenti nazionaliste aveva costretto al silenzio. Questi storici utilizzano proprio termini e categorie gramsciane re-interpretandole per inserirle nel contesto asiatico.
In Germania invece Gramsci ha avuto minor fortuna, risalgono agli inizi degli anni ottanta la pubblicazione dei Quaderni e al 2008 quella più completa delle Lettere dal carcere. Ma il quadro si arricchisce con gli apporti importanti dei paesi sudamericani e nordafricani, a riprova della complessità e profondità del pensiero di Gramsci che in Italia è dimenticato dalla sinistra e snobbato dalla destra.
Eppure in altri paesi assistiamo a un uso di Gramsci anche da parte della destra, infatti ad esempio l’ultraconservatore inglese Michael Gove, ministro dell’Istruzione del governo Cameron, e suo probabile successore, ha rivelato che a ispirare i suoi piani educativi per le scuole inglesi è stato proprio Gramsci, di cui intende applicare le idee di maggior severità e selezione a fronte del “permissivismo” della pedagogia della sinistra
Anche negli Stati Uniti se da una parte i conservatori dichiarano che Gramsci è uno degli ispiratori di Obama nello stesso tempo alcune categorie gramsciane vengono fatte proprie dalla destra per costruire la sua strategia politica.
Insomma niente male per un uomo al cui cervello Mussolini, facendolo condannare al carcere, voleva impedire di pensare.