Giordano Bruno commediante clandestino
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Giordano Bruno commediante clandestino

La storia del Candelaio, geniale opera rimasta al bando fino ai giorni nostri. Colloquio con Angela Antonini e Paola Traverso, autrici di una delle rare rielaborazioni italiane

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24 Dicembre 2012 - 16.30


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Il 21 dicembre 1599 Giordano Bruno pronuncia di fronte al Tribunale dell’Inquisizione la frase che il 17 febbraio del 1600 lo condurrà al rogo, per eresia, in Campo de’ Fiori a Roma. «Non ho nulla di cui dovermi pentire» dice con voce ferma il filosofo di Nola ai suoi giudici, rifiutando definitivamente ogni abiura. Bruno era rinchiuso, torturato e sotto processo dal 1593. A far precipitare gli eventi fu una denuncia anonima recapitata nel settembre del 1599 al Sant’Uffizio, in cui lo si accusava di aver avuto fama di ateo durante il suo “esilio” in Inghilterra – tra il 1583 e il 1585 – e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa. Fino ad allora per sei lunghi anni si era difeso e aveva difeso punto per punto la propria dottrina filosofica giustificando le differenze con i dogmi cattolici con il fatto che un filosofo, ragionando secondo «il lume naturale», può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico. Una parte della sua rivoluzionaria visione delle cose del mondo, presente in gran parte nei trattati in lingua latina e nei dialoghi cosmologici e morali, permea anche le pagine della sua unica commedia, scritta in volgare e pubblicata a Parigi nella seconda metà del 1582: il Candelaio. In questa opera Bruno adopera il linguaggio della drammaturgia come lente d’ingrandimento per mettere a fuoco, almeno a prima vista, vizi e follie della società “del suo tempo. In realtà abbandonando il latino – lingua ufficiale della Chiesa – e dando voce alle persone semplici, il Candelaio risulta un durissimo ma godibilissimo atto d’accusa contro la “schizofrenia” della cultura dominante, il clero e le gerarchie ecclesiastiche. Basti dire che egli dette al protagonista il nome di un suo confratello, fra Bonifacio da Napoli, noto candelaio, ossia sodomita.

Per lungo tempo, dopo l’omicidio dell’autore per mano dell’Inquisizione cattolica, l’opera rimase al bando trovando coraggiosi estimatori solo in Francia dove per la prima volta fu messa in scena intorno al 1630. Giudicata commedia «scellerata e infame» ancora nel Settecento, e dal Carducci «volgarmente sconcia e noiosa», in Italia non se ne trova traccia fino agli anni Quaranta del Novecento e poi negli anni Settanta quando fece capolino nei teatri grazie a Ronconi. «Eppure il Candelaio è un opera chiave» spiegano a Babylon Post, Angela Antonini e Paola Traverso. «Non solo in quanto preludio alle opere di Molière, di Shakespeare e persino alla sperimentazione linguistica di Joyce e Gadda. Attraverso Prologo, Antiprologo e Proprologo, Bruno sovverte infatti i canoni della commedia tradizionale rinascimentale con un linguaggio ironico e dissacratore. Per lui – osservano – scrivere è come poi dirà nei dieci Dialoghi degli eroici furori: “Tante sono le poesie tanti sono gli affetti umani”. Ciascuno ha la propria e all’interno di questa ci sono mille e mille sfumature. Bruno rifiuta ogni tipo di fissità. È lui a compiere con il Candelaio un primo decisivo passo verso la riforma della commedia che costituirà la base di quella poi realizzata da Goldoni». Antonini e Traverso, rispettivamente attrice/regista e regista, fanno parte della risicata schiera di coraggiosi teatranti che hanno osato mettere in scena nel nostro Paese questa opera che sa di rivoluzionario ancora oggi. In particolare sono le uniche donne ad averlo mai fatto.

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Entrambe firmano l’adattamento drammaturgico, in scena va Angela Antonini, mentre Paola Traverso cura anche la drammaturgia del suono. Le incontriamo a Roma, di ritorno da Genova dove il loro Candelaio di Giordano Bruno. Commedia fastidita in forma di monologo ha riscosso i tributi dell’esigente pubblico del Festival della Scienza. L’originale è una commedia in cinque atti, dalla durata di un’ora ciascuno, la cui trama è fondata su tre storie parallele. Tutto ruota intorno al candelaio Bonifacio che è sposato con la Carubina ma corteggia la prostituta Vittoria. Poi ci sono l’alchimista Bartolomeo che si ostina a cercare inutilmente di trasformare i metalli in oro, e il grammatico Manfurio che si esprime in un linguaggio incomprensibile. Infine l’artista, il pittore Gioan Bernardo, insieme con una corte di servi e malfattori, che si fa beffe di tutti e conquista Carubina. La versione di Antonini e Traverso è stata asciugata (e mantenuta entro le due ore) poiché interpretata dalla sola attrice, mantenendo la forza dirompente del linguaggio originale. «Tra le tre storie abbiamo privilegiato quella di Bonifacio poiché mette meglio in evidenza gli aspetti della commedia che noi desideriamo sottolineare». A cominciare dalla forza “espressiva” del linguaggio bruniano che scardina completamente il vuoto clichet del latino ecclesiastico imposto dai gerarchi della Chiesa cattolica. «La novità assoluta di questa straordinaria opera sta nel fatto che l’autore scrive per la prima volta in un italiano volgare, con una grammatica arcaica e strettamente popolare, opponendosi così al latino ecclesiastico. Come ogni grande protagonista che si rispetti anche la lingua bruniana è in cerca di una schietta verità: essere o non essere. Il suo rifiuto della lingua pedantesca è una ribellione alla falsità che cela e alla degenerazione di un latino oramai sordo e muto rispetto alla necessità comunicativa propria degli esseri umani e così straordinariamente espressa dal popolo del Candelaio». Antonini esegue quindi il testo e i numerosi personaggi attraverso la sottolineatura delle accentuazioni, i timbri, le pause e i silenzi, rivelando le molteplici variazioni ritmiche e l’audace sperimentazione linguistica di Bruno che alimenta continuamente l’immaginazione dello spettatore come nella versione “estesa”.

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«L’autore sa bene che la sua è un’opera assolutamente originale, e lo fa dire nel geniale prologo che dura ben 45 minuti a una bidella, una semplice serva di scena: “Vi stupite perché non avete mai visto una commedia? Voi prima di essere nati qualcuno vi ha visto?”. Lui si rende perfettamente conto che la sua è una cosa che prima nessuno ha visto. E quale reazione può provocare nella cultura dominante la proposizione di un pensiero innovativo e di un linguaggio che non suona vuoto ed è in grado di smuovere la sensibilità delle persone? Lo fa dire a un altro di questi personaggi secondari: “Io lo sapevo che questa commedia non si sarebbe fatta questa sera” di fronte ai protagonisti riluttanti ad andare sul palco perché afflitti dai problemi più disparati. Bruno stesso mette così in evidenza anche la difficoltà che una commedia del genere avrebbe incontrato sia a essere messa in scena che a venire accettata». In breve ecco cosa succede: l’attore che deve fare il Prologo è fuggito, la prima attrice ha le mestruazioni, l’attore che interpreta Bonifacio è ubriaco, quello che deve recitare l’Antiprologo ha troppa fame e si rifiuta di lavorare. Viene quindi obbligata ad entrare in scena una terza persona che, inesperta di qualsiasi arte teatrale, inizia il Proprologo dove timidamente racconta la “materia, il suggetto et ordine della comedia”, in attesa che i personaggi si decidano ad entrare in azione. Cosa che non avverrà mai.

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«Il tempo – scrive il filosofo nel suo Candelaio, dedicato alla misteriosa Morgana – tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesimo. Con questa filosofia l’animo mi si aggrandisce, e me si magnifica l’intelletto». Questa frase forse più di ogni altra nella commedia evidenzia retropensiero del filosofo campano: nulla è fisso e assoluto, il mondo è dominato dalla necessità della mutazione. Col Candelaio non vengono dunque completamente sconvolti solo gli schemi classici della drammaturgia, canonizzati sin dai tempi di Aristotele. È l’ottusa fissità del pensiero religioso a finire sotto i colpi del geniale eretico, attraverso le sapide battute e la folle baraonda messa in scena dai suoi sorprendenti personaggi.

Federico Tulli

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