Halloween, e se l'avessero inventato in Sardegna?
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Halloween, e se l'avessero inventato in Sardegna?

Anche in un paese della Barbagia, al centro dell'isola, i bambini andavano a Ognissanti di porta in porta in cerca di cibo [Checchino Antonini]<br>

Halloween, e se l'avessero inventato in Sardegna?
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31 Ottobre 2012 - 19.28


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di Checchino Antonini

Giravano a gruppi i bambini il giorno di Ognissanti. Bussavano casa per casa, vestiti di bianco, stracci bianchi. «A bene ‘e is animas», «per il bene delle anime» e la gente dava loro dolci, frutta secca, mele cotogne, pane. Quello che potevano, in un territorio che viveva di transumanza e commercio ambulante. E a sera, gli angoli nei rioni si illuminavano con le fiammelle dei “lantriones” intagliati, le zucchine fatte crescere apposta oblunghe.

Niente a che vedere col dolcetto-o-scherzetto dei teenagers americani, ossia dei loro coetanei di tutto l’Occidente ricco e consumista. “Su bene ‘e is animas” assomiglia parecchio ad Halloween ma solo per quelle fiammelle tremolanti nei lantriones perché Tonara, 2300 abitanti a 100 km da Cagliari, al centro della Barbagia, è ancora lontanissima da New York. Globalizzazione permettendo.

«Le offerte servivano per accompagnare le anime dei defunti, venivano raccolte dai bambini che sono le anime più pure. Anche le famiglie più povere si toglievano il cibo di bocca per imbandire la tavola in onore del defunto. Chi poteva preparava i culiggiones, ravioli di patate e menta», racconta una donna. «Ma giravano anche i ragazzi più grandi e spesso andavano a “chiedere” ogni volta che si trovava un lantrione. Ne approfittavamo anche per entrare nelle case delle ragazze», aggiunge un anziano ambulante torronaio. Perché Tonara è famoso per i torroni e per la definizione lusinghiera data da David Herbert Lawrence. Viaggiando verso il nord dell’isola, il padre di Lady Chatterley ha paragonato Tonara alle sue «visioni infantili di Gerusalemme, alta contro il cielo scintillante con le sue aguzze costruzioni a cubi».

«Senza distinziones curiales devimus esser, fizos de un insigna, liberos, rispettados, uguales». «Senza distinzioni curiali dobbiamo essere, figli di una stessa bandiera: liberi, rispettati, uguali». Questo scriveva alla fine dell’Ottocento Peppinu Mereu, poeta di questa terra che parla ancora dai murales di ogni angolo di Tonara. La sua “Nanneddu meu” è considerata in tutto il mondo un canto d’identità sarda e lui è considerato uno dei primi socialisti. L’ex sindaco, Renato Tore, 58 anni, di professione assistente amministrativo all’istituto agrario dice che «è vero, la tradizione è più vivace che in altri luoghi e più complesso è il suo significato sociale, la consuetudine di girare quei giorni di porta in porta per ottenere qualcosa che serva al viaggio delle anime nell’Aldilà, a Tonara si arricchisce, il dono in realtà, è rivolto a chi vive, è un modo di ridistribuire risorse senza interferire con la dignità di che riceve i doni, in uno spirito di solidarietà diffusa». Anche quando un pastore subiva la razzia del suo gregge, scattava la solidarietà dei suoi compagni.

Un tratto distintivo della comunità che è andato in crisi con le grandi trasformazioni del dopoguerra. Tonara è al centro di un’isola che si caratterizza per l’abbondanza di relazioni basate sulla reciprocità e generosità degli abitanti influenzata forse dai diritti sulle terre comuni diffusi in larga parte dell’isola. Così scrive Pino Arlacchi, sociologo a Sassari e a lungo vice-segretario generale dell’Onu. L’abbondanza di relazioni basate sul dono spiegherebbe anche l’assenza di cosche mafiose così come sono conosciute in altri angoli del Mezzogiorno. La lettura di un recente romanzo da Massimo Carlotto e Francesco Abate (Mi fido di te, edizioni e/o, 2006) dimostra che la globalizzazione criminale non risparmia neanche la Sardegna.

Globalizzazione. Lo stesso processo che ha rubato le cassapanche antiche nelle case di Tonara dove già erano state rubate le braccia dei giovani per le fabbriche del Nord. Globalizzazione, Halloween. Tore è infastidito dal paragone ricorrente. «Halloween da noi è un po’ stupida, un carnevale consumista. I bambini si mascherano e chiedono i dolcetti. La tradizione s’è persa e non c’è più alcun significato», spiega Ron McBee, percussionista californiano, ha suonato con la Sun Ra Arkestra e più volte è venuto a confrontarsi con la capacità poetica e canora dei Tonaresi. Due cori polifonici, uno maschile, l’altro femminile, e un numero imprecisato di poeti superiore alla media nazionale. Tonara è anche l’ unico posto nel Mediterraneo dove trovare campanacci realizzati con le tecniche pre-industriali. «In realtà anche a Cipro se ne possono trovare di simili, la differenza è che qui da noi sono veri strumenti musicali».

Nelle cartolerie della Sardegna, intanto, i gadget per Halloween riempiono gli scaffali. A Tonara qualche mamma compra ancora, per Ognissanti, cibo e dolci ma li regala ai propri figli. Nulla è come allora e forse non lo è mai stato. La tradizione, probabilmente, è un’invenzione. Come il Grande Cocomero

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