Se a raccontare la storia fosse la musica leggera
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Se a raccontare la storia fosse la musica leggera

Lucia Mannucci esce di scena. L’ultima esponente del Quartetto Cetra, il complesso vocale diventato parte importante della memoria collettiva. [Giancarlo Governi]<br>

Se a raccontare la storia fosse la musica leggera
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Giancarlo Governi Modifica articolo

8 Marzo 2012 - 09.58


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di Giancarlo Governi

Umberto Eco scrisse nel suo Diario minimo una fantacronaca nella quale immaginava che dopo una esplosione atomica gli uomini del futuro ricostruissero il passato attraverso il ritrovamento di alcuni dischi di musica leggera… Ebbene, se si desse il malaugurato caso, bisognerebbe sperare che i dischi in questione fossero quelli di un gruppo che per 40 anni è stato protagonista della canzone italiana, divertendo, satireggiando, prendendo spunto dal variare delle mode e del costume, quindi costituendo una sorta di cronaca della seconda metà del secolo trascorso: dall’Italia ridotta in braghe di tela dalla seconda guerra mondiale all’”invenzione” del boogie-woogie, dall’irruzione dei flipper ai juke-boxes, dalle miss “fasciate” al nuovo codice della strada, dai Platters ai Beatles, dalle parodie dei grandi romanzi alle canzoni di protesta sociale.

Come nasce il Quartetto Cetra? In un bar vicino a Via Asiago negli anni della guerra, quattro studenti sospinti dall’entusiasmo di Giovanni Giacobetti, detto “Tata”, studente di belle arti, si ritrovano per cantare le canzoni che amano, ossia i successi americani. Sono gli anni di Glenn Miller, Duke Ellington e Benny Goodman gli anni dello swing, del quale sono esponenti di punta complessi vocali tipo le Andrews Sisters e i Mill Brothers. Questi ultimi, in particolare, hanno adottato una soluzione musicale innovativa: cantano in coro, armonizzando le voci, ma a turno imitano anche gli strumenti, cioè tromba, trombone, contrabbasso (e l’accompagnamento è dato da una sola chitarra). E’ a questo stile che i quattro, che si sono dati il nome di EGIE, dalle iniziali dei loro nomi (Enrico De Angelis, Giovanni Giacobetti, Iacopo Jacomelli, Enrico Gentile) si rifanno, con qualche difficoltà, poiché nessuno di loro è musicista. Del loro giro fanno parte anche futuri protagonisti della scena italiana, come Mario Riva e Agenore Incrocci, che si fa chiamare AGE (sì, quello della premiata ditta Age e Scarpelli) e organizza (da autore e presentatore) spettacoli goliardici.

Alle difficoltà musicali del gruppo pare ovviare ad un certo punto un giovane palermitano, studente al conservatorio di Santa Cecilia, tale Virgilio Savona, che nelle pause degli studi su Bach e Beethoven ma anche su Gershwin, è uso fare sfoggio di brani jazz e di parodie musicali. E’ lui, dall’alto del suo… magistero, che “arrangia” le voci degli EGIE e finisce col farne parte appena uno dei quattro, Jacomelli, decide di andarsene.

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In questa nuova formazione, il quartetto decide di tentare la strada della Radio, allora unico strumento di diffusione della musica, insieme con i dischi. Ma agli esaminatori di regime il loro repertorio appare troppo americaneggiante, in tempi nei quali l’America è nemica. In più, il gruppo ha messo in repertorio una canzone, Mister Paganini, tradotta da Age in “La leggenda di Radames”, che risulta scritta da tale Coslow, ebreo americano. Il loro tentativo è destinato a fallire. Almeno presso la Radio. Perché invece il pubblico che li segue in teatro è entusiasta.

Ma sono tempi di guerra e ogni tanto c’è qualche chiamata dell’esercito. Parte De Angelis e chi lo sostituisce? Age, naturalmente. Però la guerra chiama anche Age e si può fare spettacolo solo quando torna De Angelis. Che problema! In repertorio c’è anche Radames che grazie al titolo italiano e alla soppressione del nome dell’autore ebreo puo’ essere cantata. Le maglie della censura non sono poi così strette e anche Angelini e Barzizza ascoltano segretamente i dischi americani, che dunque filtrano, per trarne motivi e arrangiamenti, trasformando i titoli.

L’EIAR ha intanto chiamato “il musicista Savona” a compiti di insegnamento per le nuove leve della canzone. Egli istruisce musicalmente il Trio Capinere e una certa Lucia Mannucci, bolognese, già aspirante danzatrice poi passata alla canzone e distintasi con il brano Ho un sassolino nella scarpa.

Quella signorina è, come diranno i Cetra in una delle loro ultime canzoni, la soluzione esistente in casa. E’ lei che entrerà al posto di De Angelis, affiancando Tata Giacobetti, Felice Chiusano e Virgilio Savona (quest’ultimo convive ormai con lei e diventerà suo marito). Salvo Giacobetti, il fondatore, i tre quarti del gruppo non ha più nulla a che vedere col passato. Con lei le caratteristiche vocali dei Cetra subiscono una notevole svolta, poiché la sua voce chiara e ovviamente sopranile conferisce all’impasto una brillantezza prima sconosciuta. Inoltre, quella componente appena accennata prima tesa alla parodia e alla “sceneggiatura” delle canzoni, può ora dispiegarsi in maniera piena. Insomma, oltre a cantare bene con le voci meglio disposte sul pentagramma (Tata fa il basso, Felice il tenore, Lucia il soprano e Virgilio il battitore libero), i quattro danno vita a scenette vere e proprie, utilizzando anche la componente dialettale di ciascuno: Tata il romanesco, Lucia la nordica, Virgilio il siciliano. Il tutto condito da spirito satirico, come avviene quando i Cetra prendono a prestito le canzoni dell’epoca, principalmente di Sanremo, e ne mettono in risalto, divertendosi e divertendoci, caratteristiche belle e brutte…

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Gli anni ‘50 vedono il ritorno e il trionfo della rivista. Sono gli anni di Totò e della Magnani, la coppia preferita da Galdieri. Sono gli anni di Remigio Paone e della Wandissima. E soprattutto sono gli anni di Garinei e Giovannini, che utilizzano Dapporto, Chiari, la Mondaini, Sordi, Rascel: e sopra tutti lei, la Wandissima, che scende da una grande scala, con abiti che fanno sognare, accolta dai boys che tengono a guinzaglio splendidi levrieri. Garinei e Giovannini, che hanno lavorato al giro d’Italia con i CETRA, hanno visto in questo gruppo la soluzione ideale per i siparietti musicali delle loro riviste e, più tardi, delle loro commedie musicali. Così, da Gran Baraonda a Un trapezio per Lisistrata, ecco i Cetra diventare di volta in volta ciclisti, fattorini d’albergo, vocalist dell’antica Grecia…

Imparano così a calarsi nei personaggi di ogni tipo e affinano le loro capacità recitative. Eccoli rievocare con la Wandissima e con Kramer i loro successi teatrali (Un bacio a mezzanotte e altre, con la Osiris e Kramer). Intanto la tv è cresciuta e da Buone Vacanze a Giardino d’Inverno, a Studio Uno, confeziona ogni sabato sera uno spettacolo di varietà per il grande pubblico. I Cetra vi recitano la parte del leone, spesso interpretando anche la sigla. Comincia poi la serie delle parodie, un genere antico ma che coi Cetra assume una veste nuova: infatti è basato sulle canzoni del momento, che il pubblico ascolta ogni giorno e che quindi, in bocca ai personaggi storici, assume effetti da risata continua. Idea vincente, che porterà alla Biblioteca di Studio Uno, dove verranno rievocati I tre moschettieri l’Odissea, Jeckyll e Hide, Il Conte di Montecristo, con l’ausilio di attori della rivista, del teatro e del cinema.

Ormai i Cetra sono dei classici ma al tempo stesso hanno forse prodotto un meccanismo di saturazione. E’ cambiata anche la tv, nel frattempo: il ‘68 ha cambiato molte cose, c’è la riforma della Rai, il varietà tradizionale entra in crisi e i Cetra emigrano verso alcune nascenti TV private. Ma il ‘68 ha portato un po’ di crisi anche all’interno del Quartetto: è soprattutto Savona ha sentire una spinta verso un maggiore impegno. Lo vedono aggirarsi alle assemblee studentesche col simbolo pacifista appeso al collo, poi accetta di dirigere una collana per la Vedette nella quale figurano personaggi come Giorgio Gaber impegnato in un disco come “Pianeta pericoloso”. Partecipa ai concerti contro i colonnelli della Grecia, scrive canzoni nelle quali risuona la parola “compagno”. Gli altri del quartetto temono di essere risucchiati e si defilano un po’: Tata scrive canzoni in romanesco, Felice si dedica ad opere filantropiche nel comune di Teglio, dove risiede. Si ritrovano tutti insieme, però, quando vengono chiamati come Cetra. E in tv aggiornano il repertorio eseguendo Mamma mia dammi cento lire: sono gli anni del folk e anche loro, come Mina, come tanti altri artisti, non disdegnano il repertorio dei Canzonieri che in quegli anni stanno togliendo pubblico alla musica leggera…

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Ma è una fase di indubbio calo. Non per Savona, che debutterà persino come compositore di una operina rappresentata al Maggio musicale fiorentino, su testi di Rodari. I Cetra stentano ad apparire in tv e non è ancora il tempo del revival in bianco e nero. Che inizierà da lì a pochi anni: e così potremo rivedere i Cetra nei loro più incredibili successi. Antonello Falqui, approfittando di un disco fatto dai Cetra quasi per scommessa e con una piccola casa, pensa allora di riproporli in tv quasi per un bilancio della loro carriera. E’ nel corso di Cetra graffiti, dove appaiono, come è giusto, ormai con i capelli bianchi ma più pimpanti che mai a cantare Erano gli anni della vecchia radio e a raccontare i loro inizi. E’ l’ultima volta che appaiono in tv. Qualche anno dopo (1988) muore Tata, il fondatore. Lo segue, nel 1990, Felice. Il Quartetto non c’è più e solo allora l’Italia si rende conto di aver perduto i testimoni e i giullari di una intera epoca, quelli che ci hanno raccontato ogni mutamento, ogni tic, ogni novità. Come quella febbre che prese i ragazzi italiani all’arrivo dei blue jeans e dei flippers, antenati dei video giochi. Anche loro sono stati come i flipper, palline piene di energia ed elettrizzanti. E così li porteremo sempre nei nostri ricordi, ora che anche Lucia Mannucci se n’è andata.

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