Tenerezza per il narciso
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Tenerezza per il narciso

Grandi e piccoli artisti narcisi e una martire troppo bella.

Tenerezza per il narciso
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18 Novembre 2010 - 18.52


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di Stefano Torossi

18 novembre 2010

Sabato, 13 novembre, Raitre, “Che tempo che fa”. Una bella intervista a Riccardo Muti, monumento della musica. Fazio, arguto finto ingenuo, lo stuzzica, e il Maestro (con la maiuscola, perché la merita) una parola dopo l’altra si abbandona all’adorazione del proprio personaggio. Dice battute da salotto, anche audaci, con (finto) scandalo del diavoletto Fazio, e risate complici del pubblico (di quella complicità deferente a cui ti obbliga la fama dell’interlocutore: il Maestro non è un comico, è un musicista, e di che livello!, perciò, anche se le sue battute sono scarse, noi ridiamo lo stesso di gusto, anzi, ancora di più proprio per questo). Parla con l’attenzione puntata sul suo autoritratto, racconta delle nascite dei figli, e per non farsi rubare la scena da eventi così minimi e familiari come le paternità, le collega a un suo concerto, a un’opera che ha diretto proprio quel giorno, ad altri fatti, comunque suoi. Si sofferma sui propri capelli ancora neri, e si dispiace di avere le orecchie a sventola in una foto infantile.

Naturalmente parla anche della musica e dei suoi problemi. Intendiamoci, qui si tratta di un essere davvero alto, a cui l’umanità non può che essere grata di esistere; eppure, intento a civettare con questa narcisa ammirazione del suo ruolo nel mondo della musica, ci è sembrato così innocente, così irresponsabile (nel senso che da parte sua non c’è nessuna programmata malizia, anzi, tutto è assolutamente spontaneo) che fa, appunto, tenerezza.

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Un altro narciso tenerone è Giampiero Mughini, con le sue giacche di moquette, i suoi occhiali arancione, le cravatte zebrate, le smorfiette e un birignao che starebbe bene sulla bocca di un cicisbeo del tardo settecento. Così affannosamente in cerca di attenzione a qualunque costo, senza il minimo pudore, o distacco (quest’ultimo, a nostro parere, virtù obbligatoria per l’uomo di scena).

E proseguendo, è inevitabile che l’occhio, nostro e vostro, cada, sempre con tenerezza, ma anche con qualche risata, sul parrucchino miserello di un notissimo e bravissimo cantante; sulle bocche pneumatiche di soubrette ai margini della maturità, ma anche di famose anchorwomen, per cui dovrebbero contare di più i contenuti che la confezione; su trapianti e tinture al rame o al mogano di noti presentatori, comici, giornalisti; sul bianco caschetto con frangia, stavolta di capelli che diremmo veri, di un popolare scrittore-divulgatore-conduttore (quest’ultimo vogliamo farlo uscire dall’anonimato: è Massimo Valerio Manfredi, l’avete mai visto aggirarsi in TV, divulgando, fra le rovine di Pompei o Ercolano? Sono bei momenti perché vuol dire che non sta a casa a scrivere per noi).

Naturalmente c’è anche il padre nobile, Albertazzi, che parla da lontano, come se fosse già sulla nuvola dei grandi, ma concede vicinanza ai mortali.
E il narciso letterario? I trafiletti di Alberto Arbasino. Intelligentissimi. Venti righe in cui si affacciano i nomi di quindici direttori d’orchestra, diciotto fra tenori e soprano, dieci teatri, le date, le serate, le regie, la mondanità, tutti i salotti dove è stato, gli spettacoli che ha visto, i personaggi che ha incontrato, in una bulimia di informazioni, tutte coltissime, esattissime, documentatissime.

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Grazie al cielo abbiamo anche un esemplare di narciso consapevole, che con l’autoironia elimina qualsiasi impulso alla tenerezza, anzi provoca una gagliarda, sentita fratellanza. E’ Stefano Bollani. Bravo come, anzi di più di molti altri, ma senza aureola. Non si prende sul serio, le sue battute sono divertenti davvero, non è né bello né brutto, e si vede che non gliene importa un fico. Suona, gioca, qualche volta pasticcia (apposta?), lascia spazio ai comprimari. Insomma, è un normale talentato. Ma è anche capace di tenere in pugno un intero teatro. Lo abbiamo visto all’Auditorium con l’orchestra di Santa Cecilia nel Concerto in Fa di Gershwin. Beh, con la sinfonica sembrava un po’ intimidito, la sua voce leggermente sottotono, ma i tre bis che ha fatto da solo, su richieste tempestose degli spettatori imbizzarriti, ci hanno lasciati stecchiti. Padrone assoluto dell’interpretazione, dello strumento, del pubblico.

Di Marzullo invece non diciamo niente. Ci limitiamo a voltarci dall’altra parte mentre lui sventaglia le anacronistiche, vaporose chiome.

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C’è in giro la voce che il Cavalier Serpente sia uno snob. Qualcuno potrebbe anche accusarlo di essere invidioso. Mah.

Però il nostro snobismo, se c’è, non ci rincretinisce, speriamo. Né ci fa perdere di vista le cose importanti. Quindi è ovvio che siamo e rimaniamo contrari a tutte quelle tradizioni, che saranno anche vecchie di secoli, ma sempre barbare rimangono. La condizione delle donne, il velo, le mutilazioni, la lapidazione, eccetera.

Seguendo la sacrosanta campagna contro queste infamie, braccati dalla foto onnipresente della povera Sakineh, bella come una diva, occhi di velluto, labbra perfette, sopracciglia depilate, in testa un velo impeccabile, e non grassa, brutta e sdentata come, cento percento, sono le vere contadine, adultere o no, in qualsiasi villaggio del Medio Oriente, ci nasce un piccolo dubbio.

A guardare quella foto, ci viene da chiederci: Come ha trovato il tempo di passare dall’estetista, prima dell’esecuzione? Chi è il suo sarto? Del parrucchiere certo non si sa niente, perché i capelli, guai a mostrarli. Non sarà che è stata scelta una bella immagine (di qualcun’altra?) solo per attirare più solidarietà verso una causa, per carità, giustissima e nobile? E invece la povera, vera Sakineh che merita intero il nostro appoggio, ha magari una faccia impresentabile, antinarcisa, che nessun pubblicitario, anche bravo, riuscirebbe a far fruttare.

E’ giustificato il nostro dubbio, o no?

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