L'arcivescovo di Dakar ai giovani: meglio poveri nel proprio Paese che schiavi
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L'arcivescovo di Dakar ai giovani: meglio poveri nel proprio Paese che schiavi

Monsignor Ndiaye dice che è il momento che tutti abbiano la consapevolezza che solo insieme si può uscire dalla crisi

L'arcivescovo di Dakar, mons.Ndiaye
L'arcivescovo di Dakar, mons.Ndiaye
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29 Novembre 2017 - 08.28


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Le immagini della Cnn che hanno testimoniato il mercato degli schiavi in Libia, alimentato dal flusso di profughi subsahariani che vengono catturati lungo la strada verso l’Europa, stanno scuotendo anche l’Africa, dove si sta manifestando un forte moto di ribellione per la sorte di migliaia di persone finite nel gorgo dei trafficanti di esseri umani.
Di questa ribellione si è fatto portavoce un’eminente voce della Chiesa cattolica africana, l’arcivescovo di Dakar, mons. Benjamin Ndiaye, che ha colto l’occasione dell’ordinazione di cinque nuovi sacerdoti della sua diocesi, per parlare di questo dramma.
Il vescovo Ndiaye si è detto “molto commosso” dalle immagini della vendita all’asta di migranti da parte di contrabbandieri libici per somme che vanno da 500 a 700 dinari libici (fino a 435 euro). “Mi ha fatto pensare alla canzone del musicista senegalese Ismaël Lô, che si chiede quando finirà la sofferenza dei neri”, ha detto.
Non dobbiamo, ha spiegato, nascondere la responsabilità collettiva. “È vero che i neri vivono in una condizione ingiusta, ma dobbiamo valutare il nostro livello di responsabilità – ha affermato -. Non abbiamo il diritto di lasciare che i canali di immigrazione continuino a esistere quando sappiamo come vengono implementati. Bisogna fermare tutto questo”.
Il vescovo Benjamin Ndiaye ha, quindi, chiesto di ”lavorare mano nella mano” e che i leader religiosi devono facciano la loro parte, dando direttive “ad agire insieme” in modo che i giovani siano mobilitati per sviluppare il loro Paese.
“È vero che siamo un Paese povero, ma è meglio rimanere poveri nel proprio Paese che subire torture provando a provare l’avventura della migrazione”, ha insistito la guida religiosa. Queste torture sono, secondo lui, una negazione dell’umanità dei migranti. “Quando le persone non mangiano, vengono picchiate, dov’è la dignità umana?”, si è chiesto.
E come soluzione della capitale senegalese ha proposto la consapevolezza, invitando tutte le “persone influenti” a parlare ai giovani dei pericoli dell’immigrazione clandestina. “Costruiremo – ha detto rivolto ai giovani – il nostro paese, lo svilupperemo, non c’è qualcun altro che lo farà per noi”.

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