Giulio Regeni, i genitori in Senato: per avere verità bisogna agire
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Giulio Regeni, i genitori in Senato: per avere verità bisogna agire

E il padre chiede: "Non rimandate l'ambasciatore in Egitto e altri paesi europei seguano questo esempio".

I genitori di Giulio Regeni
I genitori di Giulio Regeni
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3 Aprile 2017 - 12.39


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Quattordici mesi fa veniva ritrovato, lungo la strada che collega Il Cairo ad Alessandria il corpo massacrato di Giulio Regeni. Da quel giorno una lunga e complessa indagine ha fatto la spola tra Egitto e Italia, e tante manifestazioni di solidarietà verso la famiglia del ricercatore si sono susseguite, attraverso le quali migliaia di cittadini sui social e nelle piazze hanno chiesto di sapere la verità sulla morte di Giulio. 

Ancora oggi il muro di omertà e falsità impedisce di scoprire la verità su Giulio e oggi in Senato a Palazzo Madama si sta svolgendo una conferenza stampa con il senatore Luigi Manconi e la famiglia di Giulio  che ancora oggi, senza arrendersi continua a chiedere giustizia per il figlio.

“Sono stati quattordici mesi surreali. Noi siamo una famiglia normale catapultata in questa situazione. Non possiamo abbassare mai la guardia perché abbiamo scelto di essere dentro le cose. Per avere verità per Giulio dobbiamo agire, non basta proclamare ‘verità per Giulio’ e poi la bolla si sgonfia, ha affermato la madre nel corso della conferenza stampa.

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“Papa Francesco il 28/29 aprile andrà in Egitto per una visita storica. Noi siamo sicuri che non potrà in questo viaggio non ricordarsi di Giulio”.

Il padre del giovane dottorando ha chiesto che “non venga rinviato l’ambasciatore e questo esempio sia seguito anche da altri paesi europei. Abbiamo avuto rassicurazioni dal premier Gentiloni. Continuiamo a confidare nelle nostre istituzioni”. Il signor Claudio ricorda come con l’Egitto “gli scambi commerciali vadano a gonfie vele”.

“Ci chiedono spesso di mostrare una foto di Giulio. Abbiamo pensato che sarebbero foto inedite in occidente perché quello che hanno fatto a Giulio forse non lo hanno mai fatto neanche ad un egiziano. Quindi abbiamo pensato che una foto andava mostrata, questa”, ha detto Paola Regeni mostrando l’immagine di un murales raffigurante il figlio dipinto da alcuni writer egiziani a Berlino. Nel dipinto si vede anche un gatto, “Il simbolo dell’Egitto ferito” dice la madre, e la scritta in arabo “ucciso come un egiziano”.

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La verità sulla morte di Giulio oggi è più vicina, ma ancora non c’è. E restano le molte falsità  arrivate in questi quattordici mesi dall’Egitto. Dopo oltre un anno di indagini, seguite in Italia da polizia dello Sco e carabinieri del Ros, la procura di Roma è tornata, il 15 marzo scorso, a chiedere verbali di interrogatori (cinque ne sono arrivati, ma ne mancano altrettanti all’appello) e atti dell’indagine che l’autorità giudiziaria egiziana ha raccolto tra mille false piste. Gli inquirenti credono che dagli apparati della National Security egiziana e dagli agenti del Dipartimento investigazioni municipali del Cairo (almeno una decina tra polizia e servizi segreti le persone coinvolte nell’inchiesta) siano arrivate, negli interrogatori effettuati dai magistrati del Cairo, innumerevoli falsità nel corso delle indagini. Il procuratore Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco, che coordinano l’indagine italiana sul caso, chiedono eventuali dossier compilati dalla National security su Giulio, e video registrazioni oltre a quella, già nota, dell’incontro con il rappresentante del sindacato degli ambulanti che è stata diffusa a gennaio.

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